Jaap Mansfeld et al. Ja ap m a n sf



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Massimo Pulpito

 

 

un identico trattamento (anche se approfondito, e non semplicemente accennato) in 



Alberto Magno (In Phys. I 2, 1-10), a cui forse Dante si è ispirato. 

Ma, com’è ovvio, la fonte ultima a cui risalgono tali giudizi è Aristotele. Il filo-

sofo si era soffermato sul tentativo di quadratura del cerchio compiuto da Brisone, 

giudicandolo un tipico argomento eristico (An. post. I 9, 75b 40; Soph. el. 11, 171b 

16, 172a 4). Quanto a Parmenide e Melisso, Aristotele aveva indirizzato contro di 

loro (sovente in maniera congiunta) alcune celebri accuse (la trattazione più ampia 

è in Phys. I 2-3, 184b 15-187a 11). Egli contestava ai due filosofi di sostenere tesi al 

limite della ‘follia’ (Gen. Corr. I 8, 325a 19), poiché da un lato assumevano premesse 

false, dall’altro non argomentavano nemmeno in modo corretto

2

 (Phys. I 2, 185a 9-



10), scompaginando per di più l’ordine delle scienze, ossia trasferendo alla fisica 

temi e questioni proprie della filosofia prima (Cael. III 1, 298b 17-24). Eppure, seb-

bene Brisone sarà da lui sbrigativamente liquidato come erista, e Parmenide, come 

si è detto, verrà spesso associato a Melisso come esempio di approccio filosofico 

fallace, dei tre sarà il Samio a pagare il prezzo più alto a seguito della condanna 

aristotelica.  

Aristotele pronuncia giudizi durissimi su Melisso, talvolta al fine di distinguerlo 

da Parmenide, a cui pure lo aveva affiancato; e quando non opera questa distinzione, 

è solo per mostrare come egli condivida i difetti (e non i pregi, che pure riconosce) 

del filosofo di Elea. Il ragionamento di Melisso, sentenzia Aristotele, è più grosso-



lano (μᾶλλον φορτικός) di quello di Parmenide (Phys. I 2, 185a 10-11; 3, 186a 8-9); 

Senofane e Melisso sono alquanto rozzi (ἀγροικότεροι), e li si può senz’altro trala-



sciare (ἀφετέοι), a differenza di Parmenide che sembra ragionare con più pondera-

tezza (Metaph. I 5, 986b 25-27). E se è vero che Parmenide e Melisso ragionano in 



modo eristico (ἐριστικῶς συλλογίζονται), che il secondo sragioni del tutto (παρα-

λογίζεται) è palese (δῆλον) (Phys. I 3, 186a 6-11). Ma qual è, esattamente, il peccato 

filosofico di cui si è macchiato Melisso? Aristotele discute più volte la filosofia 

dell’ammiraglio samio. Nei capitoli 2-3 del primo libro della Fisica, in cui esamina 

la dottrina degli Eleati, egli discute ad esempio la tesi melissiana dell’infinità 

dell’Essere, mostrando l’errore che essa implica (l’infinito pertiene alla quantità, non 

alla qualità o alla sostanza). Nella Metafisica, poco prima di accusare Senofane e 

Melisso di rozzezza, Aristotele propone la celebre distinzione tra i monismi di Par-

menide e di Melisso: il primo avrebbe inteso l’Uno secondo la forma (κατὰ  τὸν 

λόγον), mentre Melisso secondo la materia (κατὰ τὴν ὕλην), distinzione che sembra 

implicare anche una minore raffinatezza concettuale del Samio, definito di lì a poco, 

appunto, ἀγροικότερος.  

Ma l’accusa principale risiede nell’attribuzione di una fallacia logica, cosa su 

cui Aristotele insiste in più punti della sua opera

3

, quasi fosse per lui il segno incon-



fondibile della scadente caratura del filosofo di Samo. Il paralogismo riguarderebbe 

                                                            

2

 Dante accenna a questa accusa aristotelica in Mon. III 4, 4. 



3

 Si vedano le testimonianze raccolte sotto la sigla A10 nell’edizione di G. Reale, Melisso. Testimo-



nianze e frammenti, Firenze 1970, 348-353 (ora in M. Untersteiner, G. Reale, Eleati: Parmenide - Zenone 


Lo Straniero di Samo

 

 



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la dimostrazione dell’infinità dell’Essere a partire dalla sua ingeneratezza che tro-



viamo in 30 B2 DK, ricavato da una citazione di Simplicio: esso consisterebbe nella 

falsa inferenza da ‘tutto ciò che è generato ha un principio’ a ‘tutto ciò che non è 

generato non ha un principio’ (oppure secondo un’altra versione equivalente, ‘tutto 

ciò che ha un principio è generato’). Si tratterebbe, insomma, di una fallacia formale 

di ‘negazione dell’antecedente’ (o di ‘affermazione del conseguente’). L’accusa as-

sume importanza dato il valore che Aristotele riconosceva alla correttezza formale 

dei ragionamenti, e la centralità della tenuta argomentativa per un filosofo come Me-

lisso, che affidava al ragionamento consequenziale la chiave per la comprensione 

della realtà. Ma anche così, questo non sembra bastare a spiegare tutto ciò che ne è 

seguito. 

Questo è, infatti, l’inizio della decadenza di Melisso (e, in parallelo, di un travi-

samento dello stesso Parmenide, i cui presupposti erano però già in Platone). Il giu-

dizio di Aristotele di fatto fornirà la struttura di base per i successivi pareri espressi 

sul conto di Melisso, anche quando le ragioni addotte saranno diverse. Ciò a cui si 

assiste, ricorda di fatto quel che è accaduto con la sofistica: in sede storica la diffi-

coltà di liberarsi dai canoni platonici e aristotelici ha determinato un’attitudine valu-

tativa (ma sarebbe forse più corretto dire ‘svalutativa’) nei confronti dei Sofisti, che 

ne ha impedito per lungo tempo uno studio critico non parziale. Ma nel caso di Me-

lisso vi è un’aggravante. Ai Sofisti, nonostante il marchio millenario di cattivi filo-

sofi, non si è mai negata l’originalità. L’accomunamento con Parmenide ha invece 

generato una seconda insidia storiografica per Melisso: egli non solo è stato giudi-

cato un cattivo filosofo, al pari dei Sofisti (tanto da meritare più di una menzione 

negli Elenchi sofistici da parte del Filosofo per eccellenza) ma è stato reputato anche 

un pensatore niente affatto originale. Se è vero, infatti, che le dottrine di Parmenide 

e Melisso possono essere accostate (come insegna Aristotele) e che Parmenide pre-

cede cronologicamente Melisso, allora è al primo che spetta la paternità di quella 

linea di pensiero. Di più, se poi sempre Aristotele attribuisce esclusivamente al se-

condo errori che Parmenide non avrebbe compiuto, tanto da indurlo a parlarne con 

più disprezzo e ad ammettere che in fondo l’Eleate – che viene prima – parlava con 

più oculatezza, il disegno è compiuto: Melisso è stato un filosofo incapace di elabo-

razione teorica autonoma, e lì dove ha osato allontanarsi dal maestro ha ottenuto 

soltanto di trivializzarne il messaggio. 

È questo lo stigma che ha caratterizzato la ‘fortuna’ di Melisso. Il giudizio ari-

stotelico, ripetuto dai commentatori, ha così attraversato i secoli. Se si eccettuano 

casi sporadici

4

, al filosofo non si riserva pressoché mai un neutrale resoconto delle 



sue posizioni, ma gli si unisce un giudizio di valore, oppure, quando questo non 

                                                            



- Melisso. Testimonianze e frammenti, Milano 2011, 1016-1021). Non stupisce che le attestazioni mag-

giori siano negli Elenchi sofistici.

 

4

 Un raro caso di trattamento ‘avalutativo’ è nel Dictionnaire Historique et Critique di Pierre Bayle, 



nella nota D alla voce Manichéens, in cui il filosofo immagina una disputa sul tema della teodicea tra 

Melisso, difensore per eccellenza del monismo, e Zoroastro, ideale precursore del dualismo manicheo. 

Va detto, però, che anche in questo caso non è Melisso ad avere la meglio. 



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