Rassegna stampa martedì 25 febbraio 2014 esteri



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CULTURA E SCUOLA



del 23/02/14, pag. 7



«Cultura e privati, nessun tabù»

Per Franceschini bisogna puntare su tutela e valorizzazione dei beni

Ieri Dario Franceschini, neoministro dei Beni culturali, ha fatto il primo passaggio di consegne: ha lasciato il dicastero dei Rapporti con il Parlamento. Domani effettuerà l'altro, quello con il ministro Bray.

Da quel momento prenderà possesso del nuovo ufficio a via del Collegio Romano. Ma più di un'idea su come impostare il nuovo lavoro già ce l'ha. Sia perché in passato è stato assessore alla cultura del Comune di Ferrara, sia perché nel precedente Esecutivo ha seguito i passaggi parlamentari del trasferimento del dipartimento del turismo dalla Presidenza del Consiglio al ministero dei Beni culturali e le varie fasi della legge Valore cultura.

Convinto della scelta di far transitare il turismo nei Beni culturali?

Sì. I due settori sono strettamente legati. È una scelta che ha un senso profondo. Intanto è permanente, perché effettuata con una legge; non è una delega. E poi prende le mosse dalla considerazione che in Italia il collegamento tra cultura e turismo è dovuto, perché la nostra ricchezza è il patrimonio culturale, le città d'arte, i borghi. Nel mondo globale ogni economia nazionale non potrà far tutto, ma dovrà investire in ciò che ha di più competitivo. Noi abbiamo la qualità, la bellezza, il patrimonio culturale. C'è una grande operazione da fare: quella di tutela e valorizzazione. Questa mattina, all'uscita dal Quirinale, scherzando ho detto che mi avevano chiamato a guidare il più importante ministero economico di questo Paese.



E ci crede?

Assolutamente sì. Penso che il ministero della cultura sia in Italia come quello del petrolio in un Paese arabo. Le nostre potenzialità non sono soltanto i beni culturali come volano del turismo, settore dove c'è un enorme investimento da fare perché abbiamo perso posizioni nella graduatoria dei Paesi a maggiore vocazione turistica. La nostra è anche una condizione che ci permette di attrarre investimenti: se un imprenditore deve investire nella parte alta della filiera produttiva, dove conta meno il costo del lavoro e più la capacità d'innovazione, e deve decidere dove costruire la propria azienda, se in un brutto posto o in uno bello come l'Italia, dove c'è offerta culturale, un sistema di welfare, la bellezza e la storia, sicuramente sceglie di investire qui da noi.



Però bisogna anche aggiungere un'imposizione fiscale molto alta, una giustizia inefficiente, una burocrazia lentissima.

Tutto vero. Ma questi ultimi sono problemi da risolvere, quelle altre condizioni e risorse da valorizzare.



Sulla cultura è stato fatto un decreto legge ad hoc. Uno analogo era atteso sul turismo. Continuerà su quella strada?

Sul turismo si deve fare un'operazione equivalente a quella fatta sulla cultura. Lo strumento legislativo lo vedremo. Intanto bisogna rafforzare la struttura, perché con tutti gli spostamenti è stata indebolita.



Quali sono le misure che metterà al primo posto sul versante culturale?

In questo momento, a poche ore dal giuramento, non voglio fare proclami né programmi prematuri. Penso che sul tavolo ci sia la riorganizzazione del ministero e non solo a livello centrale. Si partirà da lì. Ci sarà poi da aiutare l'integrazione delle strutture turistiche con quelle culturali e approfondire il rapporto con il sistema dei Comuni, che lavorano senza risorse, ma con grande capacità, per la valorizzazione delle loro risorse culturali.



La legge Valore cultura è ancora in gran parte da attuare. Alcuni decreti sono fermi all'Economia. Come pensa di agire?

Conosco il sistema: so chi accelera e chi invece rallenta. Metterò tutte le mie conoscenze, a partire dalle ultime di ministro dei rapporti con il Parlamento, per fare in modo che i Beni culturali non siano trattati come un ministero di serie B. Credo molto nell'idea che un pezzo rilevantissimo della crescita sia legato alla valorizzazione dell'Italia stessa.



Ha avuto, dunque, l'impressione che negli ultimi anni i Beni culturali siano stati la Cenerentola dei ministeri?

Purtroppo è stata una colpevole malattia non attribuibile a una parte politica piuttosto che a un'altra. Ora quello della cultura deve diventare un tema centrale nelle scelte politiche del Governo.



Con Renzi ne ha parlato?

Sa perfettamente che su questo tema bisogna scuotere il Paese: la cultura è la nostra risorsa, il nostro petrolio. E non c'è alcun contrasto tra tutela e valorizzazione.



Come vede il ruolo dei privati?

Sono aperto a questo tema. Se ci si schiera su fronti opposti, tra chi dice che non si tocca nulla e chi invece vuole utilizzare un bene pubblico semplicemente per logiche di profitto, non si va da nessuna parte. Col buon senso si può trovare una soluzione che dimostri che non c'è alcun contrasto tra assoluta tutela del patrimonio pubblico e una maggiore dinamicità, una più incisiva capacità di utilizzarlo e valorizzarlo. Questo non deve essere un tabù. L'equilibrio è assolutamente possibile.



Agirà sulle agevolazioni fiscali per incrementare gli aiuti alla cultura?

Bisogna utilizzare tutto ciò che serve per portare risorse alla cultura, dagli incentivi per le sponsorizzazioni a quelli sulle donazioni. Ci sono tante cose che si possono fare.



A chi dice che con la cultura non si mangia, che risponde?

È un'assoluta stupidaggine. Non è che con la cultura si mangi, ma bisogna far capire che in questo Paese il nostro patrimonio è il principale motore della crescita. E questo senza dover privatizzare i beni pubblici. Semplicemente attraverso un intelligente equilibrio tra tutela e valorizzazione.



È consapevole di entrare in un ministero sofferente?

Questo Governo non si dà un orizzonte di qualche mese, ma di quattro anni. C'è il tempo per fare le cose velocemente ma bene. Prima approfondirò le materie e poi deciderò cosa cambiare.



È finita la fase dei tagli?

Con il Governo Letta c'è già stata un'inversione di tendenza. Mi batterò non solo perché non ci siano tagli ma perché la cultura sia uno dei settori su cui fare gli investimenti prioritari, strategici.



Ci sono musei che devono fare i salti mortali per pagare le utenze.

Purtroppo non è un problema solo dei musei. Il cammino indicato nella legge di stabilità sulla spending review è difficile. Bisogna, però, lasciare totalmente alle spalle la filosofia dei tagli lineari, che colpiscono indistintamente tutti. La politica serve a dire: lì taglio, lì non tocco nulla, lì investo. La cultura appartiene alla terza opzione. - Fonte: Il Sole 24 Ore



di Antonello Cherchi

Del 25/02/2014, pag. 12



Scuola, primo no dei prof alla Giannini “Gli scatti di anzianità non si toccano”

L’istruzione

I sindacati contro il ministro: prima pensi ad alzare gli stipendi

CORRADO ZUNINO

ROMA


— C’è Matteo Renzi, al Senato, che mette la scuola al centro del paese e chiede la fiducia. Il neopremier, spiega, entrerà nelle aule d’Italia ogni mercoledì perché «l’educazione che si dà nelle scuole è motore dello sviluppo, di fronte alla crisi economica non puoi non partire dalle scuole». Poi c’è il suo ministro di riferimento che alla terza intervista è già in urto con il mondo della scuola tutto, e pure con l’università. A

Repubblica

Stefania Giannini, 53 anni, neoministro dell’Istruzione per nove stagioni e fino al 2013 rettore dell’Università per stranieri di Perugia, aveva detto: «I soldi sono necessari per la scuola pubblica e quella paritetica, ma il modello scatti d’anzianità va rivisitato con coraggio. Premi a chi si impegna, chi si aggiorna, chi studia. Tutti i mestieri che si rispettino prevedono premi». Altrove aveva ribadito il concetto. Ottenendo una risposta corale da un fronte sindacale

compatto: «Nessuna cancellazione degli scatti».

Reduce dall’errore di Natale del governo Saccomanni-Carrozza (la sottrazione in busta paga dell’ultimo scatto d’anzianità nonostante accordi firmati lo avessero mantenuto), Rino Di Meglio del sindacato Gilda ha attaccato: «Con le prime esternazioni il ministro Giannini ci ha gelato dimostrando di non sapere che l’anzianità di servizio è riconosciuta agli insegnanti in tutti i paesi europei e in Italia è la più bassa in termini assoluti». La Cgil (Flc) con Domenico Pantaleo dettaglia lo stipendio medio di un

docente italiano: 1.200-1.300 euro al mese, penultimi in Europa. «Queste vecchie impostazioni di stampo gelminiano non tengono conto che il contratto nazionale della scuola è bloccato dal 2006». Francesco Scrima, segretario della Cisl, ricorda le ultime emergenze contratto: «Al personale

amministrativo stanno scippando la retribuzione dopo un lavoro regolarmente fatto e i presidi oggi si vedono decurtare lo stipendio ». Marcello Pacifico dell’Anief: «Macché blocco degli scatti, alla scuola servono risorse aggiuntive. Il ministro Giannini prima di tutto ha l’obbligo di allineare le buste paga all’inflazione ». I Cobas vedono nelle proposte del Pd renziano («il superamento di alcune rigidità del contratto nazionale») e in quelle del ministro di Scelta civica («sì ai licei in quattro anni») un disegno comune e annunciano «un rafforzamento delle mobilitazioni

in corso».

Gli universitari a loro volta si sono irretiti di fronte alla riproposizione — a proposito delle borse di studio — del prestito d’onore, questione di memoria gelminiana e tradizione anglosassone (negli Usa molti laureati non riescono a restituire i soldi prestati e in Italia l’istituto non è mai decollato). Venerdì prossimo gli studenti della Link saranno sotto le finestre del Miur per la prima contestazione al neoministro.

Ecco, quelle di Renzi sono «parole belle e importanti», come dice il segretario Scrima. Ma sulla scuola belle parole le pronunciò

all’insediamento l’ex rettore Mario Monti, che poi costrinse Profumo a tagliare ancora, e pure Enrico Letta («di fronte a nuovi tagli mi dimetterò»), che poi lasciò diverse partite in deficit. Già oggi il neoministro Giannini dovrà decidere sui 24 mila addetti alle pulizie a rischio licenziamento (pronta una proroga di un mese), l’abrogazione della quota 96 sul pensionamento dei prof (pronta la proposta di legge Ghizzoni) e, appunto, gli scatti d’anzianità. Le ipotesi pre-Giannini parlavano di un reintegro di quelli congelati, non della loro cancellazione.

del 25/02/14, pag. 17



«Salviamo gli Istituti di cultura all’estero»

L’Italia non scommette sulla diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero. È un caso la prossima chiusura di otto Istituti italiani di cultura ad Ankara, Vancouver, Francoforte, Lione, Stoccarda, Lussemburgo, Salonicco, Wolfsburg. Contro questa decisione alcuni intellettuali italiani, tra cui lo storico dell’arte Salvatore Settis, hanno scritto una lettera aperta al presidente del Consiglio Matteo Renzi per chiedere di «cancellare immediatamente questa decisione sbagliata». «Si tratta di istituzioni pubbliche — si legge nel testo — in cui centinaia di cittadini stranieri studiano la nostra lingua e conoscono la nostra cultura, di centri in cui si possono incontrare direttamente, al di fuori dei nostri confini, i principali protagonisti del nostro cinema, della nostra letteratura, della nostra arte, della ricerca scientifica, imparando ad amare la bellezza e la ricchezza del nostro Paese». Una decisione, quella presa dal governo Letta in nome della spending review, che potrebbe rivelarsi un boomerang: «In un tempo difficile come quello presente — continua il testo — caratterizzato da una pesante crisi, non si deve sottovalutare anche la positiva ricaduta economica che l’attività degli Istituti di cultura produce. È sufficiente pensare a quanti studenti o utenti degli Istituti prossimi a chiudere scelgono di visitare il nostro Paese, di acquistarne i prodotti, di farvi investimenti».

Il risparmio realizzato con la chiusura degli Istituti di cultura sarà di circa 800.000 euro annui. Una cifra che, forse, potrebbe essere tagliata su altri fronti. A questo proposito la deputata democratica Laura Garavini ha presentato un’interrogazione al ministro degli Esteri in cui denuncia la nomina di «un ginecologo e urologo ad esperto culturale presso l’Istituto italiano di cultura di Los Angeles». La parlamentare chiede se non sarebbe opportuno «destinare le risorse attualmente utilizzate per l’assunzione di esperti culturali alla sopravvivenza e all’attività degli Istituti di cultura italiana all’estero» e vorrebbe che fossero resi «più trasparenti i criteri di selezione e di assunzione degli esperti culturali assunti a contratto negli Istituti italiani di cultura, pubblicando sul sito web del ministero degli Affari Esteri una lista aggiornata degli esperti attualmente in servizio».



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