Tabù, eufemismo e disfemismo in Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno



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La regina non usa il solito linguaggio dei contadini. Lei ricorre ad uno stile diverso anche nelle offese dove possiamo vedere due prestiti in una breve frase: «Mira che ceffo di babuino.»355 La parola ceffo deriva dal francese antico chiefcapo’ e significa il muso di animali e si estende il suo significato anche per una persona dellaspetto poco raccomandabile e sciocca che vale anche e per il babuiono dal francese babouin, il nome della scimmia che deriva dalla parola francese babinelabbro’ proprio per via delle labbra prominenti dellanimale. Nella descrizione di Cacasenno si dice che assomiglia ad «un gatto mammone, ovvero356 ad uno scimiotto».357 Questo gatto mammone non è un gattino eccessivamente attaccato alla mamma perché qui non si tratta del derivato di parola mamma.358 Il termine mammone proviene dall’arabo maymūn ‘scimmia’ e nella novella crea quindi un disfemismo.359




HANDICAP
Gli eufemismi dell’invalidità si possono considerare come una conseguenza delle norme di educazione: i disabili vivono in condizioni di evidente svantaggio e i loro handicap vengono spesso presentati come una negazione di termini opposti. «I ciechi»360 eufemisticamente passano a non vedenti: «Bertoldino. Perché io glieli voleva cavare, e credo di averne accecati pur assai, perché io gliene gettavo sulla testa le palate piene, e credo che non vedano più lume.».361 La parola «orbo»362 deriva dal latino orbus che etimologicamente significa semplicemente ‘privo di’ e in italiano indica propriamente chi è privo delle vista da uno o entrambi gli occhi.
Anche per il termine muto si usa una perifrasi analoga privo di parola e G. C. Croce sostituisce il vocabolo parola con favella: « e le privò in tutto della favella»363 o ancora: «Ha perduto forse la favella, o gli è venuto qualche strano accidente, ch'ei non possa parlare?».364 La parola sordo nel proverbio cambia il significato e indica chi finge di non capire: «Non è il peggior sordo, quanto quello che non vuole udire.»365 o ancora meglio l’altra litote: «Non è il peggior sordo di quello che non vuol intendere.».366
Una persona che soffre di un difetto di andatura è «zoppa»367 o, se si vuole usare il termine più brutale, storpio: «Ohimè, poveretto, scendete signor Erminio, che costui senz'altro si è storpiato.».368

INTELLETTO
Nelle novelle l’argomento molto discusso è la limitatezza delle facoltà intuitive e intellettive. Molti termini indicanti la ridotta facoltà mentale diventano insulti. La parola «ignorante»369 o l’accrescitivo «ignorantone»370 (essere all’oscuro di qualcosa, non sapere) sembrerebbe senz’altro nata come eufemismo è ormai usata come un insulto: «O ignorantone che tu sei, vuoi tu essere nato prima di tuo padre?».371 Lo stesso si potrebbe dire della parola scemo che deriva dal latino tardo semus ‘mezzo’ cioè la metà dell’intero: «scemo di cervello».372 Nell’accumulazione vengono enumerati gli insulti che sono più o meno sullo stesso piano: «O balordo, o pazzo, o mentecato che sei!».373
La parola balordo viene usata nel senso di stupido e non per designare una persona malvivente. La conferma abbiamo in un’esclamazione ironica di Bertoldino: «Credete voi ch'io sia pazzo? Siete voi, che non avete ben inteso il medico. Volete ch'io mi cacci di dietro questa cosa qual è tutta coperta di mèle? O, io sarei il bel balordo. Ella va tolta per bocca, e queste pallotte giù a basso; ho ben cervello ancor io.»374 e negli insulti di Marcolfa: «se questa cosa va all'orecchie del Re, che pensi tu che egli dirà, balordo mentecato che tu sei?».375 La parola mentecato dal latino mente captus ‘preso nella mente’ si può usare con senso attenuato ‘infermo di mente’ ma anche essa viene usata disfemisticamente per insultare.

Gli insulti disposti con un effetto di progressiva intensificazione formano una figura sintattica chiamata climax: «pazzo, matto, bismatto e senza cervello».376 Dalla parola pazzo si forma con il prefisso in- introduttivo il verbo impazzarsi (oggi più conosciuto come impazzire che è la versione toscana) viene usato più nel senso di manifestarsi in modo tumultuoso che di andar via di cervello come si intende oggi: «[…] lascio la Marcolfa donna e madonna d'ogni cosa fin che il figliuolo abbi venticinque anni, che poi allora voglio sia padrone assoluto d'ogni cosa, con patto che se esso piglia moglie cerchi di non impazzarsi con gente da più di sé.».377 G. C. Croce sfrutta un animale per ottenere il significato instupidire: «[...] insomma inasinirci affatto, poiché non si trova al mondo la più insolente bestia quanto il villano [...]».378 L’autore ci dà subito dopo la spiegazione di un asino che desiderava diventare un cavallo da corsa, ma viene punito per aver voluto violare le leggi della natura. Quindi inasinire significa ‘ridurre ai limiti di una ottusità animalesca’.


La parola bislacco nella frase: «O questo sì, che è un cervel bislacco.»,379 dove lacco potrebbe derivare dal latino tardo laccum e questo dal greco lákkos ‘cavità, fossa’, rappresenta diverse teorie. Il Devoto-Oli (2009) propone la teoria basatasi dallo sloveno bezjak ‘sciocco’, applicato alle popolazioni di confine, nel Friuli e in Istria, nella forma bislaco, reso toscanamente in bislacco. Ne Il nuovo etimologici DELI (2008) viene citato proprio G. C. Croce, il quale adopera la parola per primo e viene proposta la teoria che sulla parola bislacco potrebbe influire la voce bilenco ‘sbilanciato a destra’.
L’onomatopea riproduce attraverso i fonemi non soltanto il rumore di una cosa o il verso di un animale ma anche parole spregiative: «per essere alquanto turlurù gli diciamo Cacasenno.»380 La parola onomatopeica pappolata, per via della consistenza molle e poco solida del pasto infantile, viene usata nel senso dispregiativo e metaforico: «Regina. T'ha forsi dato colui a intendere questa pappolata?».381 L’insulto babbeo è voce onomatopeica imitante un parlare impacciato e l’accrescitivo viene usato ironicamente: «Quel che lo dice, o ha detto, è un bel babbione»382 o come sostantivo: «Orsù, questa è stata un'altra babionata a questa foggia,».383
Nel proverbio si nota la litote che eufemisticamente formula giudizio: «Chi manda la lingua avanti del pensiero non ha del saggio.».384 Una disapprovazione espressa da Marcolfa si basa sull’iperbole nel senso di sminuzzamento: «Non t'accorgi tu che non hai punto di cervello,».385 La regina si è affezionata a Bertoldino e giustifica «simpliciaccio e balordo»386 con le mitigazioni: «Non viene ch'egli sia pazzo, ma viene ch'egli è alquanto ottuso di cervello. Ma come può essere che di Bertoldo e voi, che siete stati l'istessa accortezza, sia uscito un figliuolo di così poco giudicio?[…] Orsù, madonna Marcolfa, bisogna aver pazienza. Ve ne sono degli altri che sono peggio di lui.».387 Marcolfa attenua l’ottusità di Bertoldino che «ha poco senno»388 e nega il contrario: «costui non ha tutto quel senno che se gli dovrebbe»,389 «in esso non è dritto né roverso»390 e poi da brava nonna scusa la limitatezza di Cacasenno: «non è meno semplice di quello che già fu in questa Corte Bertoldino suo Padre; tal fu l'albero, tal'è il frutto […]».391Oltre la litote anche l’allegoria nasconde eufemisticamente il vero significato: «Pianta silvestre non produce frutto domestico.».392
Maternamente in modo eufemistico viene impiegata la sinestesia393 «dolce sempliciotto».394 Marcolfa spiega il motivo della testa vuota di Bertoldino e anche se usa l’eufemismo natiche attira sicuramente più l’attenzione invece di velare il tema della conversazione:
« [...] questo mio fantoccio di stucco, il quale una volta, seguendo una capra dietro un'alta rupe, nel salire su per quell'erta cadde addietro e venendo giù percosse con il capo sopra un tronco d'un sambuco, e così tutto il cervello gli corse nelle natiche, e gli restò leggiera la testa come il sambuco, e non restò, come si suol dire, né rana né barbastrello, né mai è per aver più senno di quello ch'ei s'abbia avuto fin ad ora;».395
Per la parola usata da G. C. Croce stucco abbiamo dei dubbi396 nel senso che non si tratta del materiale per la stuccatura. La parola qui non viene usata nella locuzione rimanere o restare di stucco nel senso figurato di ‘scorza’. La parola fantoccio ci avvia a pensare che si potrebbe trattare di un altro prestito sempre longobardo *stok- stocco che vuol dire ‘lo stelo del granturco’ perché per i fantocci si adoperano dei materiali diversi e per gli spaventapasseri contadini usano le cose facilmente trovabili in campo ed è proprio lo stelo di mais. Nella frase seguente, oltre che le parole rimano meglio, sembrerebbe più logico se si paragonassero397 due piante: «Parimente questo mio bamboccio, il quale non so s'egli sia di stucco over di sambuco, tanto è goffo e balordo,[…]».398
Attualmente, proprio il nome del protagonista del racconto di G. C. Croce, cioè Bertoldo, è diventato l’esempio dell’antonomasia eufemistica per eccellenza: Farne più che Bertoldo! è sinonimo di ‘combinarne di tutti i colori’. N. Galli de’ Paratesi approfondisce l’argomento avvalendosi all’etimologia regionale: «Ci troviamo di fronte al sardo bertoli ''fagioli'', al gen. betordo < Bert ''sciocco'', al lomb. bertörd ''fagioli'' »399 e, secondo la linguista:
«[…] il nome proprio Bertoldo significò dapprima ''minchione'', ''sciocco'' come nel genovese moderno, poi di qui ''testicolo'' e quindi (facendo a ritroso la via di fagiolo) venne a significare per metafora ''fagiolo''. Non sarebbe la prima volta in effetti che vi è uno scambio del genere: cioè che, al contrario delle metafore eufemistiche dove si usa il nome di un oggetto per quello degli organi sessuali come verga, corno, si dà a piante e animali il nome di tali organi.».400

DIFETTI MORALI
I difetti morali possono essere collegati con il timore superstizioso (Decalogo). Il comportamento dell’uomo, specialmente quando deve determinare un criterio di giudizio nei confronti dei due concetti contrapposti di ‘bene’ e di ‘male’ molto spesso sceglie una via di mezzo. Un furto è una cosa moralmente riprovevole ma «un furto che ogni notte si fa nel […] gallinaro.»401 non è di grave entità e viene attenuato: «le astute malizie e ladronecci».402 Una ladra che «aveva rubato uno specchio di cristallo» viene smascherata dal sovrano molto indulgente: «Orsù, io conosco veramente che lo specchio è di colei che non vuole che si spezzi; perché al pianto, alle lagrime e al supplicare ch'ella fa, quanto al giudicio mio, mostra segno chiarissimo ch'ella n'è patrona e che quest'altra gliel'ha involato.».403 La parola «involare»404 con il prefisso introduttivo può significare ‘alzarsi in volo, decollare’ ma nella novella viene usata per un’azione completamene diversa cioè per cogliere o portare via qualcosa di nascosto e quindi diventa un eufemismo della parola gotica405 *raubōn ‘rubare’.
Dall’arabo aššāšīn, riferendosi al nome di una tribù che andava a rubare e uccidere sotto gli ordini del suo capo detto il Veglio della Montagna e si dice che il clan stava sotto gli effetti della bevanda fatta dalla canapa indiana (arab. ašīš ‘erba secca),406 deriva la parola italiana assassino. Possiamo sentire questo prestito usato come disfemismo dalla bocca della regina: «Tu sei qua, brutto assassino?»407 e da Marcolfa: «O traditore, o assassino! ».408 G. C. Croce usa per le persone che provano compiacimento nel fare il male: «malvaggi e scelerati».409 A. Banchieri si serve una volta della parola vigliacco derivata dallo spagnolo bellaco ‘malvagio’: «Corre alle risa, corre alle finzioni, Col riso al labbro dir e poi ridire, Corre il vigliacco alle sollevazioni.».410
Mentire è ritenuto un comportamento negativo: «Ah bugiarda, sta così bene dir le bugie?».411 Il prestito provenzale leggiamo nel proverbio: «le bugie hanno corte le gambe ed al bugiardo ricercasi buona memoria».412 Al posto della locuzione dire le bugie viene usato il provenzalismo brolhar ‘rimescolare’: «tanto l'imbrogliò che restarono d'accordo»413 che affievolisce l’argomento. Una piccola bugia con l’intenzione di scherzare o di prendere in giro viene chiamata con una voce onomatopeica: «[...] la Regina lo fece cercar per tutto con animo risoluto di farlo impiccare, parendogli pur grave la beffa della veste e dello sbirro.».414 Dal latino deriva la parola ormai arcaica mentita: «[…] spesso si dà delle mentite da se stesso.».415 La sostituzione del termine proprio con una metafora altera l’argomento: «gli daremo intendere il bianco per nero».416 La metafora viene usata per una diceria falsa con intenzione di nuocere cioè per la calunnia: «le lingue mal dicenti che mettono fuoco per le corti».417 La litote consiste nell’esprimere un concetto con una formulazione attenuata mediante la negazione del contrario e quindi si combina bene con l’eufemismo: «Questa non è la verità».418
Una cattiva abitudine è il vizio del bere: «[…] il bever vino a quelli che non sono avvezzi si è la peggiore per la sanità, sì come sortisce agli avvezzi bevendone di soverchio; […]»419e in tal caso il verbo «s'embriacarono»420 viene oscurato con le perifrasi: «il gran fumo che gli andò al capo»421 o «[…] come l’uomo ha riscaldato il cervello, facilmente si piega a far delle cose indegne e di poca lode, […]».422 G. C. Croce per lodare la donna usa l’eufemismo «parca nel bere».423
L’ira, secondo la dottrina cattolica, è uno dei sette424 vizi capitali ed è considerata un comportamento disdicevole: «[…] Regina tutta adirata […]»425 Il termine evidentemente più crudo è la rabbia che designava dapprima una malattia infettiva che colpisce i mammiferi compreso l’uomo «[…] ch'ella era tutta arrabbiata […]».426 Nel testo abbiamo: «se ne tornò a casa tutto imbestiato»427 ma non viene già usato un animale concreto (vipera, cane). Per esprimere sempre lo stato di anima irritato eufemisticamente viene usata la metafora per la furia: «gettavano fuoco per tutto».428
«Re. Qual è quel mare che non s'empie mai? Bertoldo. L'ingordigia dell'uomo avaro.».429 Uno dei difetti più riprovevoli è l’avarizia che nelle novelle è collegata agli Ebrei e associata ai pidocchi (si veda p. 57). Così anche la malattia dalla parola latina tinĕa o tinia ‘verme, tarlo, pidocchio’ viene usata per designare disfemisticamente una persona avida: «[…] la robba fa stare il tignoso al balcone.»430 Quando lo scrittore vuole far intendere che una persona è avara senza dirlo apertamente ricorre all’eufemismo: «Vuoi tu che la Regina, la quale è tanto larga e liberale, non voglia sborsare i danari […]?».431

2. DISFEMISMI

Sotto il termine disfemismo si possono distinguere vari tipi di turpiloquio e diversi tipi di interdizione: magico-religiosa, sessuale, scatologica o sociale. Tutti i tipi sono psicologicamente diversi fra loro e hanno diversi aspetti linguistici. Per l’analisi che svolgeremo in questo capitolo ci serviremo della classificazione di V. Taratamella (si veda p. 24).




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