Tabù, eufemismo e disfemismo in Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno



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2. 4. MECCANISMI LINGUISTICI


Per poter indicare accettabilmente le cose che stanno sotto un’interdizione linguistica (tabù o disfemismi) esistono diverse soluzioni. N. Galli de’ Paratesi ha identificato queste “scappatoie” e le divide in sei categorie:78


1. Omissione
Fanno parte di questa categoria i termini vietati che vengono soppressi e non vengono sostituiti da un altro termine preciso. Questo avviene attraverso l’omissione, che nel testo è di solito segnata con dei puntini. N. Galli de’ Paratesi afferma che: «Questo procedimento è tipico per oggetti fortissimamente interdetti, la cui menzione è comunque sgradevole: quindi di parole oscene sessuali o scatologiche.».79 L’omissione è un rimedio molto frequente proprio nel linguaggio familiare e popolare.
2. Abbreviazione
Spesso si abbrevia la parola incriminata conservando solo la prima lettera o la prima sillaba seguita spesso da puntini. Anche questo procedimento è molto frequente «ed a volte è cristallizzato: ormai è inequivocabile l’espressione una p…; vi sono alcuni casi di abbreviazione cristallizzata in varianti lessicali».80
3. Pronome o avverbio
Il meccanismo consiste nel rifiuto di certe parole che vengono sostituite per esempio con un pronome personale «farsela addosso»81 o con un avverbio di luogo ma va là. Ovviamente, i pronomi e gli avverbi, in questi casi, hanno una funzione ben diversa dal solito, cioè quando hanno lo scopo di sostituire i sostantivi che non si vogliono ripetere.
4. Alterazione fonetica
La voce interdetta si mantiene e varia solo un certo numero di fonemi; così, il termine di sostituzione può accostarsi ad una parola innocua già esistente (cazzo-cacchio) o si può trasformare in una parola fantasiosa (Madonna-madosca). L’alterazione può colpire qualsiasi parte della parolaccia. N. Galli de’ Paratesi afferma che il cambio di iniziale «è stato frequentemente riscontrato nelle lingue indoeuropee»,82 ma che in italiano possiamo trovare «solo zio al posto di Dio nelle imprecazioni: porco zio.».83 Il fonema della parolaccia può anche scomparire completamente e così l’imprecazione precedente diventa porco io.84 L’alterazione dei fonemi centrali è presente, ad esempio nel portoghese, ma la linguista evidenzia che: «In italiano non c’è nulla di genere.».85 Anche il caso della metatesi, riscontrabile sempre nel portoghese, nella lingua italiana «è praticamente assente: forse corpo (nelle bestemmie, imprecazioni, ecc.) sta per porco: corpo di Bacco, ecc.».86 L’alterazione dei fonemi subterminali, dove per: «fonemi subterminali si intende quelli a partire dalle prime sillabe e soprattutto da quella accentata»,87 è la modificazione fonetica più frequente: «ostia > ostrega, ostregheta, osterìa; Madonna > madosca, o matosca, maremma, […] cazzo > cavolo, Kaiser, cacchio».88
5. Parole dotte
La quinta categoria comprende le parole dotte come pene, pube, coitus e anche i termini stranieri come toilette, water, bidet.
6. Circonlocuzioni sostitutive o attenuative
Nell’ultima categoria sono incluse le figure retoriche: antifrasi, antonomasia, epiteto, litote, metafora, metonimia, perifrasi e sineddoche. Queste circonlocuzioni sostitutive o attenuative con il tempo si cristallizzano e diventano spesso un lessico eufemistico. Il termine interdetto può essere sfumato con espressioni del tipo: parlando con rispetto, per così dire; per la linguista sono chiari esempi di attenuazione per inserto. Tra gli eufemismi rientra anche il linguaggio infantile: il pene diventa pisello, la vagina è passerina, la urina è pipì e le feci popò o anche cacca.
A. Dąbrowska prova ad individuare tutti i mezzi linguistici che partecipano alla creazione degli eufemismi e mostra dettagliatamente tutti i meccanismi della lingua polacca, evidenziando altresì numerosi esempi dall’inglese, dall’ispano-americano, dal tedesco, dal russo e anche dall’italiano:89
1. Mezzi fonologici:90

perdita di un fonema iniziale (orca = porca), riduzione di sillabe finali (santu dia = santu diavulu), uso di una lettera maiuscola (C... = cazzo, M... = merda), sostituzione (bio = dio, ferda = merda), illusione fonetica (madocola, mazzocola = Madonna).

2. Mezzi morfologici:91

suffisso astratto (dio = divinità, sesso = sessualità), un termine simile ma astratto (celeste = cielo, vita sessuale = sesso), cambio di genere specialmente nelle parole ipocoristiche (bambino = bambina = amica, micio = micia = amica), cambio del singolare per il plurale - pluralis maiestatis (noi = io, voi = tu), cambio in singolare della seconda persona per la terza (signore = sua signoria), indicativo o condizionale al posto di imperativo (me lo fai? o faresti? = fammelo), futuro per presente (le darò = le dò), suffissi diminutivi (-ello/ -ella = bastardello, -etto/-etta = madonetta, -ino/-ina = diavolino, -acchiare = rubacchiare), suffissi accrescitivi (-one/-ona = volpone, donnona), prefissi (in- = indisposto = ammalato, inurbanità = volgarità, anti- antipadre = padre non leggittimo), composizione (nullatenente = povero, creapopoli = pene), contaminazione (accimento = accidenti + cimento, diamici = diavolo + amici).
3. Mezzi lessicali:92

sinonimi (inquisizione = tortura), antonimi (galantuomo = mascalzone, bellino = brutto), iperonimi (africano = negro, anormale = omosessuale), termini generali (cosa, affare), pronomi (quella = prostituta, lui = pene), linguaggi speciali (eutanasia, decesso = morte), linguaggio infantile (lilli = pene, cuculo = culo), prestiti (toilette, uterus, slip).
4. Mezzi semantici:

metafora93 (flauto, pisello, piffero, corno = pene), metonimia94 (mettere in condizione di cantare da soprano = castrare, malattia di petto = tubercolosi), perifrasi95 (donna di facili costumi = prostituta), antonomasia96 (andare ad Assisi = morire), aposiopesi97 “per silentium” (testa di...(cazzo)).
5. Mezzi al livello dell’enunciato o del testo:98

uso di frasi introduttivi (diciamo, per così dire; diciamo la parola esatta).
6. Mezzi grafici:99

puntini (sei una ...).
7. Mezzi metalinguistici:100

numero di lettere (quattro lettere = culo, cinque lettere = cazzo).
8. Mezzi soprasegmentali:101

accento, intonazione, pausa-per silentium.
A. Dąbrowska, al termine della sua ricerca comparatistica nelle diverse lingue europee, conclude che gli eufemismi occupano ambiti lessico-semantici molto simili perché appartengono alla medesima sfera culturale.102
M. C. Gómez ha approfondito lo studio delleufemismo e del disfemismo ammettendo che: «no existen mecanismos propios que identifiquen a un término como eufemístico o disfemístico»103 in quanto: «no podemos hablar de estructuración o de funcionamiento estructural del eufemismo, sino únicamente de sistematización o configuracón lingüística: en otras palabras el eufemismo es sistematizable pero no estructurable.».104
Nel suo saggio, M. C. Gómez effettua una revisione critica di numerosi autori che si sono occupati del tema rielaborando tutti i piani dell’estensione eufemistico-disfemistica, allargando il campo della ricerca con la giustificazione di ogni inserimento ottenendo infine un sistema dei meccanismi linguistici. Il linguista, in base a due aspetti linguistici principali, cioè la forma e il significato della parola, ha provato a catalogare tutti i possibili procedimenti che generano la sostituzione eufemistica o disfemistica proponendoci il seguente schema: 105
I) Nivel paralingüístico La entonación (intonazione)

(livello paralinguistico) Los gestos (gesta)
Modificación (modificazione)

Fonético Cruce de vocablos (incroci di parole)

(fonetico) Reducción (riduzione)

Sustitución paronímica (sostituzione paronimica)
Derivación (derivazione)

II) Nivel formal Morfologico Composición (composizione)

(livello formale) (morfologico) Flexión nominal: el género (felessione nominale: il genero)

Omisión (omissione)

Elipsis (ellissi)

Sintácticos Fórmulas eufemísticas (formule eufemistiche)

(sintattico) Agrupación sintagmática (raggruppamento sintagmatico)
Préstamos extranjeros (prestiti stranieri)

Calcos semánticos (calchi semantici)

Cultismos (parole dotte)

Arcaísmos (arcaismi)

Trasplante Voces de argot (parole argotiche)

(trapianti) Jergalismos Voces germanescas (parole ladronesche)

Léxico (gergo) Voces de argot de la prosttitución

(lessicale) (parole argotiche della prostituzione)

Particularismos geográficos (particolarità geografiche)
Designaciones expresivas (denominazioni espressive)

III) Nivel de significado

(livello di significato) Metonimia y sinécdoque (metonimia e sineddoche)

Metáfora (metafora)

Hipérbole (iperbole)

Antonomasia (antonomasia)

Semántico Antífrasis (antifrasi)

(semantico) Lítotes (litote)

Perífrasis (perifrasi)

Circunlocuciones alusivas (circonlocuzioni allusive)

Términos genéricos (tremini generici)
3. CONCLUSIONE

Il lessico eufemistico e disfemistico può essere analizzato per una determinata lingua o epoca; infatti, il fenomeno è così ampio che, per la nostra ricerca, abbiamo scelto solo tre novelle secentesche per individuare e organizzare il loro lessico eufemistico e disfemistico. La nostra lingua madre potrà esserci molto utile in quanto la traduzione letterale rivela spesso uno spostamento del significato. La genesi del lessico eufemistico e disfemistico è promossa dai tabù, che derivano, nel caso del tabù linguistico, da diverse cause psicologiche (timore, pudore, ripugnanza, fattore sociale), che stabiliranno, nella presente trattazione, le categorie corrispondenti. Se per la sistemazione di vari tipi di tabù e la conseguente produzione degli eufemismi, abbiamo deciso di prendere lo spunto dalle cause psicologiche, dobbiamo farlo altrettanto per la categorizzazione dei disfemismi. Anche i disfemismi secondo noi, dipendono da diverse cause psicologiche: ira, rabbia, frustrazione aggressione, disgusto, rancore, tristezza, disprezzo o anche voglia di scherzare. Tenteremo quindi di ordinare e valutare gli eufemismi e i disfemismi nelle novelle secondo gli stessi criteri.



TABÙ NEL BERTOLDO E BERTOLDINO COL CACASENNO


1. CATEGORIZZAZIONE DEL TABÙ

Il tabù linguistico è causato da tre impulsi principali: paura, pudore, ripugnanza ed è anche influenzato dal fattore sociale. Abbiamo deciso di dividere il lessico secondo queste quattro cause e abbiamo frazionato il tabù nelle seguenti categorie: magico-religioso, sessuale, scatologico, sociale. La differenziazione di queste quattro categorie ha un valore approssimativo, infatti, non si può escludere una reciproca influenza tra i fattori principali. Analizzeremo un testo concreto per vedere quanto il tabù possa modificare la scelta del lessico che si trova sotto l’interdizione.



1. 1. TABÙ MAGICO-RELIGIOSO
Il timore è spesso legato ad eventi che per il superstizioso sono soprannaturali, ignoti o inspiegabili; tali circostanze, anche se possono essere molto diverse tra loro, hanno una componente comune: l’irrazionale. Nella categoria del tabù magico-religioso classifichiamo non soltanto le forze occulte ma anche i termini che si riferiscono alla morte o alle malattie.

DIO
Nella religione cattolica uno dei dieci comandamenti ordina di non nominare il nome di Dio invano,106 pertanto quando si vuole nominarlo, di solito ci si avvale degli aggettivi Onnipotente o Altissimo.107 Nella novella G. C. Croce sostituisce una volta il termine interdetto con il pronome dimostrativo rinforzato con la prima lettera maiuscola:
«[...] ma, dove mancherò io, supplirà Quello che regge il tutto, il quale mai non cesserò di pregarlo a rendervi il guiderdone per me, e che vi conceda grazia di conservare il vostro regno in pace e felicità, dandovi forze e valore contra i nemici vostri, e vi guardi da insidie e tradimenti, e insomma ch'ei vi conceda ogni vostro desiderio e diavi ogni contento;[…]».108
Nelle novelle molto spesso viene usata la parola Cielo sia per sostituire la parola Dio, sia nel senso dell’iperonimo perché ha un significato più esteso:
«Marcolfa. Il Cielo ti salvi e mantenga, o serenissimo Re, e ti accreschi ognora più stato e grandezza.[…] Re. Gran parole sono queste, che tu dici, e degne da notarsi; e mostri in vero la sincerità dell'animo tuo, e conosco chiaramente che il Cielo dispensa le grazie sue tanto ne' luoghi ruvidi e alpestri quanto nelle popolate città, […]».109
Le formule che richiamano le divinità quando si presta giuramento servono da scudo contro le possibili bugie, evocando la punizione divina per chi oserebbe mentire: «O Cielo, scopri tu la verità di questo fatto110 e accettano l’inevitabile: «Il ciel volesse che non vi fusse di peggio.».111 Si guarda sempre con il massimo rispetto verso l’alto, in quanto si crede in tal modo nei poteri senza limiti: «O può far il Cielo!»,112 «Oh, il Cielo mi aiuti!»,113 «Tutti si rimetteranno a quello che vuole il Cielo […]».114
Nella novella il Cielo e la terra vengono personificati e costituiscono due lati opposti cioè il paradiso e l’inferno: «O terra, perché non t'apri a inghiottire questa ribalda che con tanta sfacciataggine nega quello che è mio, e di più si sforza dare ad intendere di esser lei quella dalla ragione e io dal torto? O Cielo, scopri tu la verità di questo fatto.».115

DIAVOLO
Nell’epoca secentesca il tabù del diavolo è infranto e non vengono adoperati gli eufemismi tipo: il Maligno o il Tentatore. Della figura del diavolo nelle novelle è rimasta soltanto una traccia dell’occultezza: «Sete voi forse spiritate? Che malanno avete?» 116 La locuzione: «pareva proprio un diavolo infernale»117 è rafforzata da un pleonasmo perché è ovvio che il diavolo proviene dall’inferno, quindi concettualmente l’aggettivo non sarebbe necessario.
Talvolta nel linguaggio popolare il termine diavolo passa ad indicare una persona abile o spregiudicata e la locuzione si potrebbe giudicare come disfemismo eufemistico (si veda p. 20): «Re. Pur ti ci ho colto, villan ribaldo, ma a questa volta non scamperai del certo, se non sei il gran diavolo.».118 Poi il re conclude: «ha il diavolo nell'ampolla e un giorno sarebbe buono per rovinare il mio stato.».119 Oltre tutto possiamo vedere nominare diavoleria cioè una fandonia bizzarra fatta da Bertoldo: «Re. Orsù, poiché questa è stata tua invenzione, io ti perdono; ma come hai tu ordita questa diavoleria?».120

LATO SINISTRO
«Pare che, fino ad un’epoca relativamente recente,» come sostiene autorevolmente N. G. de’ Paratesi «il concetto di “lato sinistro” fosse tabuato perché connesso con l’idea della sfortuna.».121 Nella novella il tabù della parola sinistro non esiste più ma ne è rimasta traccia nel significato della parola che esprime qualcosa di negativo: «Menghina. Non sarà egli mai vero, perché questo nostro figliuolino è così semplice, che son certa gli interverrebbe qualche sinistro incontro.».122 Per indicare la parte sinistra del corpo viene usato un altro termine: «Erminio montò a cavallo e lasciò che la Marcolfa li tenesse il cavallo. Intanto Cacasenno, pigliando il vantaggio, pose il piè mancino nella staffa dritta, e salito che fu si trovò con la faccia volta verso le natiche del cavallo;».123 La parola mancino deriva dal latino mancum ‘manchevole’ e di solito indica una persona che presenta mancinismo e ha la mano sinistra più abile della destra, ma nel nostro caso eufemisticamente sostituisce la parola sinistro.

MORTE
Dato che «la morte ha la balestra in mano per tirare tanto a' giovani quanto a' vecchi»124 la paura della morte continua ininterrottamente dalla più remota antichità. Il timore della morte è tuttora fortemente attivo e i termini usati al posto di morire sono numerosissimi. Accanto agli eufemismi dignitosi prendono posto anche molte espressioni impertinenti o beffarde.
Locuzioni usate nelle novelle: «né si poteva consolare della perdita di così grand’uomo»,125 «in pochi giorni finì la sua vita»126 o «se mi sarà concesso tanto spazio di vita»127 rientrano tra gli eufemismi. Il verbo dormire si adopera spesso con lo scopo di celare il delicato argomento. Il proverbio popolare: «Chi numera gli anni fa conto con la morte.»128 viene preso alla lettera : «come l'uomo giunge agli settant'anni, come oramai io mi ritrovo, si può dire che sia sulle ventitre ore e che non possa stare a battere le ventiquattro, e poi buona notte.»129 e così G. C. Croce usa per il tema tabuato eufemisticamente un saluto.
La parola morire ha normalmente un valore neutro. Ma nell’epitaffio: «morì con aspri dolori per non poter mangiar rape e fagiuoli»130 il risultato finale è umoristico. Il servo per parlare del suo padrone morto a causa dell’abuso di bevande alcoliche utilizza la seguente locuzione: «dominus meus mortuus est»131 che farebbe pensare, visto l’utilizzo della lingua dotta, a modi formali e solenni cioè un eufemismo. Prendendo in considerazione anche il contesto invece, possiamo concludere che ci ritroviamo senz’altro al cospetto di una burla che serve a sdrammatizzare un avvenimento così tragico.
La litote consiste nell’esprimere un concetto con una formulazione attenuata mediante la negazione del contrario e quindi si combina bene con l’eufemismo. La litote può anche enfatizzare un concetto: «questa all'ultimo non è morte d'uomo».132
Il disfemismo «se non vogliamo lasciarci la pelle»133 viene giudicato nello schema di G. Berruto (si veda p. 21) come molto leggero e così si potrebbe dire anche dell’iperbole «senza di me non camparebbe al mondo quattro giorni».134 Sullo schema di G. Berutto la parola crepare risulta il più pesante disfemismo e con tale carica la possiamo trovare in una maledizione: «Ohibò, possi tu crepare!».135 Ma nella frase detta da Bertoldino la stessa parola non ha più la carica di prima:
«Mia madre, io ho udito dire che la Regina vuol star sopra tutte le altre donne; però sarebbe ben fatto che quanto prima noi ce ne tornassimo a casa nostra, perché s'ella vi monta adosso una volta, ella vi farà saltare le budelle fuor del corpo, ch'ell'è grande e grossa più che non è la nostra vacca; però leviamoci di qua, innanzi ch'ella vi faccia creppare.»136
La parola crepare viene usata nelle novelle in molteplici occasioni; talvolta, la percezione disfemistica viene eliminata: «crepava dal ridere»137 o «saresti creppata dalle risa».138 La potenza negativa insita nella parola è annullata anche in casi simili a: «di me avea una gelosia, che creppava»139 o «crepami il cuore di compassione»,140 dove il termine indica semplicemente una quantità elevata e non riguarda più la morte in senso stretto.
Nella novella le parole potrebbe morire presto vengono sostituite da una perifrasi che sarebbe di difficile comprensione se non si conoscesse bene il personaggio a cui si riferisce: «[…] perché il padre è vecchio e poco più può stare andare a fare dell'erba al cavallo del Gonnella;141 sì che tu potrai per l'avvenire vivere onoratamente senza essercitare più questo tuo mestiero così vituperoso e infame.».142 L’argomento della morte è diffuso nel linguaggio popolare tanto da offrire lo spunto al proverbio: «Le male pratiche conducono lUomo al macello.».143 Il luogo attrezzato per l’abbattimento di bestie, usato a proposito di un uomo è crudo. Ancora più crudo sempre con il significato di macello è la parola derivata dal becco ‘capretto’: «O quest'è il bel barbagianni, e non vuol già somigliarsi al padre, ch'esso era accortissimo e d'acuto ingegno, e costui fin ad ora mostra di essere una delle gran pecore che vadino in beccaria.».144
Il blocco nel discutere della morte è ancora più forte quando la morte è voluta o provocata. Forse questo avviene, oltre per le naturali ragioni di paura, anche per un fatto religioso perché l’omicidio e anche il suicidio sono ritenuti fra i peggiori peccati.
L’eufemismo: «farlo privar di vita»145 è molto generico e non ci offre maggiori informazioni sull’accaduto. La parola «uccidere»146 deriva dal latino ob-caedo ‘tagliare’ e nella locuzione: «prese una falce e corse alla sua volta per ucciderla»147 assume probabilmente senza l’intenzione dello scrittore tale significato. Il termine uccidere difficilmente viene percepito in tal senso in quanto assume un significato molto generico; in questo contesto sostituisce ad esempio il verbo sparare: «Onde il Contadino si prese tanto disgusto di aver ucciso il suo Cane, […]».148 Anche la parola «ammazzare»149 significa letteralmente ‘percuotere con una mazza’, ma acquisisce un significato più generico perché il cane «miserabilmente ammazzato dal Contadino con un'archibugiata.»150 non è stato certamente picchiato con l’arma da fuoco. Oggi la parola ammazzare è più brutale della parola uccidere, ma nelle novelle sono sullo stesso livello ed entrambe si usano in senso generico.
A. Banchieri usa per fucilare la locuzione: «con un’archibugiata mi dà l’ultimo vale»151 ma siccome dare l’ultimo vale rientra tra gli eufemismi l’intera locuzione suona piuttosto beffarda. Anche G. C. Croce prende di mira il tabù della morte quando usa al posto delle parole far avvelenare e far morire l’espressione: «mi potrebbe dar forse il boccone e farmi tirare le calcie».152
P. Camporesi afferma che: «Il linguaggio secentesco è particolarmente ricco d’espressioni riguardanti le esecuzioni capitali per impiccagione.»,153 e infatti, dal discorso fra Bertoldo e lo sbirro emergono subito due disfemismi: «Sbirro. Qualche buffalaccio farebbe tal pazzia, che, come mi scoprissero poi, e ch'io non fussi te, mi facessero tirare il guindo154 e farmi fare il saltarello del groppo.»155 Oggi queste locuzioni sono cadute completamente in disuso e risultano anche poco comprensibili. In Italia la penna di morte per impiccagione non esiste più da molto tempo e quindi è sparito il rapporto arbitrario dei disfemismi. Al contrario, i disfemismi dove viene espressamente pronunciato lo strumento per l’impiccagione non presentano alcuna difficoltà di comprensione: «Che vuoi tu che dica il Re di questa tua pazzia, quando la saprà? Questa è la volta ch'egli ci espedirà per tante bestie e ci caccerà alle forche, e meritamente, solamente per le tue gran balordaggini, le quali sono tanto grandi, che un pazzo affatto non ne farebbe di più»156 o ancora nella preoccupazione di Bertoldo nei confronti della regina: «che in quanto della vita mia non credo ch'ei se ne curi un aglio, anzi credo che egli mi vorrebbe piuttosto vedere sulle forche.».157
Nelle novelle i disfemismi più mascherati e poco riconoscibili sono quelli che derivano dall’inganno inventato da Bertoldo nei confronti dello sbirro. Per capire di cosa parla la regina o il narratore e per intendere le sostituzioni bisogna analizzare con attenzione tutto il ragionamento tra Bertoldo, lo sbirro e la regina. La frase: «Dopo che l'infelice sbirro fu mandato a bere,»158 tolta dal suo contesto non sembra assolutamente disfemistica ma nella novella sostituisce le parole fu mandato a morire, quindi si potrebbe parlare del disfemismo eufemistico (si veda p. 20). Anche la sostituzione disfemistica della parola affogare nasce dall’inganno bertoldesco: «la Regina lo fece tornar nel sacco e portarlo a gettar nel fiume, e così quel povero disgraziato tirò le doble di peso, mal per lui, e in cambio di prender moglie s'ammogliò nell'Adice del tutto.».159

DEFUNTO
N. Galli de’ Paratesi afferma che: «Al nome del morto si accompagna l’aggettivo il povero.».160 Ma non si può certo dire che la parola povero sostituisce sempre la parola defunto: «Restò dunque il povero Bertoldo serrato nel sacco, con la guardia di quello sbirro; e avendosi imaginato una nuova astuzia, mostrando di parlare fra se stesso, incominciò querelandosi a dire:[…]».161 L’aggettivo povero, anteposto al nome indica semplicemente la commiserazione dell’oratore: «Onde, vedendosi il povero Bertoldo in così gran pericolo, ricorse di nuovo all'usata astuzia, […]»162 o «cominciarono a bastonare il povero sbirro».163 La commiserazione non è necessariamente motivata da condizioni oggettive di disagio e spesso si limita ad essere a una premura affettuosa: «pensando pure, il povero sempliciotto».164
L’anteposizione della parola povero può esprimere il rimpianto per aver perso una persona cara o anche un animale. Ma nella frase seguente, se l’aggettivo povero sostituisce la parola defunto risulterebbe un pleonasmo, quindi è più logico presumere che esprima commiserazione: «e son sicuro che il mio povero Cane è morto per malizia di detta Volpe».165 L’aggettivo infelice viene usato in contesti simili perché fu mandato a bere abbiamo individuato come la sostituzione dell’affogare: «Dopo che l'infelice sbirro fu mandato a bere, […]».166 Ma anche esso mostra la commiserazione e non sostituisce la parola defunto. Invece nella frase seguente, l’aggettivo povero, anteposto alla parola disgraziato, sostituisce sicuramente la parola defunto perché altrimenti sarebbe un pleonasmo: «la Regina lo fece tornar nel sacco e portarlo a gettar nel fiume, e così quel povero disgraziato tirò le doble di peso, mal per lui, e in cambio di prender moglie s'ammogliò nell'Adice del tutto.».167 Pertanto, con ogni probabilità l’oggetto della commiserazione è espresso solo con la parola disgraziato e di conseguenza la parola povero sostituisce eufemisticamente la parola defunto. I valori possibili derivati dalle anteposizioni e posposizioni vengono mostrati nella seguente tabella:



Squattrinato



Sfortunato



Defunto






sbirro infelice

infelice sbirro




Sbirro povero

povero sbirro (cane)

povero sbirro (cane)

disgraziato povero

(sfortunato e squattrinato)



povero disgraziato

(doppiamente sfortunato)



povero disgraziato

(defunto sfortunatamente)



L’aggettivo posto dopo il nome ha un valore distintivo e se viene posto davanti al nome ha un valore descrittivo. La posposizione permette di differenziare e così lo sbirro povero è uno sbirro di cui si vuole mettere in evidenza una particolare qualità cioè la povertà. L’anteposizione sfuma il significato e così la locuzione povero sbirro esprime un’opinione personale ma come ci troviamo davanti a due significati solo il contesto ci può dare l’ulteriore chiarimento.



SEPOLTURA E TOMBA
Per seppellire si usa nelle iscrizioni tombali il termine eufemistico «giace».168 Per causa di un malinteso si fa l’uso dell’espressione alloggiare sotto terra: «Erminio. Venite pur meco e non vi dubitate, ch'io vi voglio menar nell'alloggiamento di vostro padre. Bertoldino. Mio padre alloggia sotto terra, lui, e però voi ci volete seppellire con esso lui. O mia madre, torniancene a casa nostra.».169 Infatti, per tomba si dice ultima dimora ma si usa anche più generico fossa: «Chi ha un vizio per natura, fin alla fossa dura.».170 Il disfemismo per la «tomba tenebrosa e scura»,171 dopo l’impietosa sentenza del re: «ministri, pigliate costui e menatelo or ora a impendere a un arbore»,172 si sente nella protesta di Bertoldo: «per aver canzonato in amaro son ridotto al buco del gatto, né mi scamperiano le ali di Dedalo, ché il Re ha già dato la sentenza e la sua parola non può tornare a dietro, ancorché si dica che chi può fare può anco disfare.».173

MALATTIE
L’ostacolo nel parlare delle malattie è dovuto non solo dal timore di venirne colpiti, o dal pudore (malattie veneree) ma anche per via del disgusto per le cose sgradevoli come nel caso della «tigna».174 La parola malattia suscita subito allarme e quindi viene velata: «fra mez'ora; né dubitate, che non avrà male.».175 Nel senso generale si usa la parola indisposizione: «ber vino e mangiar cibi delicati, in breve cadrei in qualche indisposizione»176 ma spesso anche le mestruazioni vengono mascherate con lo stesso eufemismo. Infatti, nessuno fa ulteriori domande alla regina e non viene chiamato neanche un medico: «Re. La Regina di nuovo mi t'ha mandato a domandare e dice ch'essendo alquanto indisposta vorrebbe che tu l'andasti un poco a trattenere e fargli passar l'umore con le tue piacevolezze.».177
L’eufemismo si può attenuare ancora come nel caso «un poco indisposta,».178 Il quantificatore un poco viene usato molto spesso: «con un poco di febre»,179 «per essere un poco affreddata»180 o «infermo un poco».181 Gli eufemismi: indisposta, indisposizione, infermo, infermità derivano dal latino e sono formati con il prefisso privativo. L’eufemismo infermo appartiene sicuramente allo stile elevato e per un campagnolo poco comprensibile e così il termine diventa un pretesto per G. C. Croce per ottenere un gioco fonetico:
«Regina. Voglio dire se ti senti più aggravato dal male, ch'io intendo che sei stato infermo un poco. Bertoldino. Io non mi sono mai partito da casa se non ora: guardate voi se io sono stato a Fermo, né manco so dove si sia, e che cosa è questo Fermo? un pagliaro, o pur una colombara?».182
Nella novella «linfermità incurabile»183 è il «cancaro».184 G. C. Croce usa il nome della malattia anche nell’esclamazione dello sbirro stupefatto delle frottole di Bertoldo ma per via dell’alterazione fonetica al suo posto potrebbe esser stata omessa la parola interdetta cazzo. L’eufemismo malanno nel contesto della novella viene usato con lo scopo disfemistico: «è proprio un volere mettere la sella a un porco; e qui ti lasso con il malanno che ti pigli, ch'io voglio andare a lavarmi il mostaccio.».185

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