Autonomia e riscatto, I principi libertari ed identitari di g m. angioy a 210 anni dal moto popolare



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Anche i tre volumi della Storia naturale di Cetti, i Quadrupedi (1774), gli Uccelli (1776), gli Anfibi e pesci (1778), erano espressione di un'intensa attività di ricerca e di studio fortemente incoraggiata e sostenuta dal conte Bogino. L'opera dell'ex gesuita lombardo descriveva gli animali nel loro ambiente naturale, contemporaneamente analizzandone le specifiche caratteristiche alla luce delle teorie di Buffon e delle classificazioni di Linneo. La Storia naturale era così destinata a segnare una tappa fondamentale nella conoscenza scientifica dell'isola58. Paradossalmente entrambe le opere, così legate al disegno riformatore promosso dal ministro Bogino, videro la luce all'indomani del suo brusco licenziamento, avvenuto nel 1773.

Giungevano intanto a maturazione i primi significativi frutti dei nuovi programmi e dell'intenso impegno profuso nell'insegnamento dai professori dell'Università riformata. Nel 1774, al primo posto nella lista dei quattordici studenti che in quell'anno si erano particolarmente distinti nel conseguimento dei gradi presso l'Ateneo di Sassari, figurava l'algherese Domenico Simon, che – appena sedicenne – aveva brillantemente superato l'esame finale del Magistero delle arti: si trattava di un traguardo a cui il giovane Simon era arrivato sotto la guida di maestri come Cetti e Gemelli, che ne avevano saputo valorizzare le inclinazioni e il talento59. Già nel 1772 Domenico Simon, a soli quattordici anni, si era segnalato come autore di due saggi scolastici (composti sotto la direzione di Gemelli), che aveva anche recitato in pubblico: il Trattenimento sulla sfera e sulla geografia, dedicato al governatore di Sassari, e il Trattenimento sulla storia sacra, in onore del nuovo arcivescovo Giuseppe Maria Incisa Beccaria. Le due «esercitazioni letterarie», ben presto date alle stampe, avevano suscitato ammirazione e interesse, mettendo in luce non solo l'ingegno ma anche la solida preparazione del giovanissimo studente del Seminario canopoleno: «Posso assicurare – scriveva Gemelli – che questo Domenico Simon ha una capacità singolare e uguale facilità di spiegarsi massimamente in pubblico». Anche il gesuita veneziano Antonio Giuseppe Regonò, da poco trasferitosi da Cagliari a Sassari come professore di logica e metafisica, con alle spalle una lunga esperienza d'insegnamento maturata a Bologna, a Parma, a Mantova e in altre città italiane, esprimeva un giudizio lusinghiero sul giovane Simon, giungendo ad affermare, secondo Gemelli, di «non averne conosciuto l'eguale»60. Perfino il ministro, colpito dall'eccezionale prova fornita dal giovanissimo studente («Mi ha incantato – scriveva – la felicità e il buon garbo con cui [...] ha esso giovane corrisposto alle cure del professore») aveva voluto manifestare il suo compiacimento per «questi frutti dei buoni studi», che testimoniavano inequivocabilmente dell'impegno di buoni docenti («Sono rimasto edificato – affermava a proposito di Gemelli – dell'applicazione che questi ha impiegata nell'esercitare il signor don Domenico Simon»)61.

Ma i frutti di questa capacità di formazione si vedranno anche a lungo termine nelle carriere civili ed ecclesiastiche e nelle esperienze intellettuali di coloro che ebbero in quegli anni la fortuna di studiare in quell'ambiente culturale. Lo stesso Simon, dopo aver completato gli studi in Leggi nell'Università di Cagliari, nel 1779 pubblicò Le Piante, un dotto poema didascalico sul rifiorimento dell'agricoltura sarda, che recitò in occasione della sua aggregazione al Collegio di filosofia e arti dell'Ateneo cagliaritano. Gli eleganti versi del giovane letterato algherese illustravano l'origine, la cura e l'utilità delle piante, rivelando le ampie conoscenze e le aggiornate letture scientifiche a cui era stato avviato negli anni della sua prima formazione intellettuale.

Il lascito del qualificato e competente magistero di Gemelli e l'impronta della tradizione letteraria e filologica subalpina appariranno inoltre evidenti nei Rerum Sardoarum Scriptores, la prima raccolta di testi e fonti di storia della Sardegna, un'opera di chiara ispirazione muratoriana, che Simon, ormai diventato vicecensore del Regno, pubblicherà a Torino nel 1787-8862.

Non è questa la sede per seguire le vicende biografiche dei molti studenti di quegli anni che successivamente si misero in luce ricoprendo un ruolo di primo piano nella vita pubblica del Regno. Basterà accennare ad alcune figure di spicco: Giovanni Maria Angioy, uno dei principali protagonisti, insieme con Domenico Simon, del triennio rivoluzionario sardo; Domenico Alberto Azuni, brillante giurista e letterato che collaborò alla stesura del codice napoleonico; il latinista, poeta e letterato Francesco Carboni; e naturalmente un nucleo consistente di ecclesiastici, avvocati, notai e insegnanti che incisero significativamente nella vita civile e nelle vicende politiche locali degli ultimi decenni del Settecento63.

In questo quadro un'attenzione particolare meritano gli studenti che avevano frequentato l'Università nei primi anni della riforma e che, avviati alla carriera universitaria, contribuirono ad assicurare il ricambio del corpo docente nei decenni successivi. Alcuni, come Giovanni Pinna Crispo e Gavino De Fraya, erano giunti alla cattedra universitaria nel periodo del ministero boginiano64. Altri, come Angelo Simon, Giuseppe Luigi Pinna e Pietro Bianco, vi giunsero negli anni successivi.

 

 



6. L'autunno della riforma

Negli anni settanta e ottanta del Settecento, mentre le prime generazioni dei nuovi laureati si affermavano nella vita pubblica del Regno, la spinta propulsiva della riforma andò via via affievolendosi e la felice stagione dell'innovazione didattica e del fervore degli studi lasciò il posto all'abitudine e alla routine.

Le cause di questo declino, decisamente più marcato che nell'Università di Cagliari, sono riconducibili al concorso di almeno quattro fattori: 1) l'improvviso licenziamento del ministro Bogino giubilato nel febbraio del 1773; 2) lo scioglimento cinque mesi dopo della Compagnia di Gesù; 3) il ritorno a un meccanismo di esclusiva autoriproduzione del corpo docente; 4) l'esaurirsi della carica riformatrice dell'assolutismo sabaudo.

Nel 1773, all'indomani della scomparsa di Carlo Emanuele III, il brusco allontanamento del ministro Bogino ad opera del successore Vittorio Amedeo III privava l'Università riformata non solo di un premuroso protettore, ma anche della solida e autorevole guida di un ministro che si era riservato amplissimi poteri di direzione della vita universitaria in funzione del buon esito di un più vasto e organico progetto di trasformazione del Regno. In realtà, con l'uscita di scena di Bogino, cambiavano anche le linee della politica sabauda verso la società isolana, e la centralità delle scuole e dell'università come leva del cambiamento cedeva il passo a una calcolata politica di stabilizzazione degli equilibri esistenti. Di qui il rapido affievolirsi di quell'impulso dal centro che aveva sorretto il rinnovamento degli studi fino ai primi anni Settanta e che iniziò a venir meno sotto la nuova direzione degli affari di Sardegna affidati al nuovo ministro – reggente Giovanni Andrea Giacinto Chiavarina65.

Lo scioglimento della Compagnia di Gesù non sembrò provocare ripercussioni immediate nel corpo accademico. Lo stesso sovrano diede chiare disposizioni perché i docenti ex gesuiti rimanessero al loro posto. Dal generale terremoto che investì la comunità degli oltre duecentottanta gesuiti residenti nell'isola, i professori universitari furono apparentemente risparmiati, conservando le loro cattedre e il loro ruolo di funzionari al servizio della monarchia66. Nell'Università di Sassari soltanto l'ex gesuita Francesco Gemelli chiese e ottenne di poter ritornare in Piemonte; gli altri professori continuarono a insegnare fino alla fine della loro carriera. Ma lo scioglimento dell'Ordine ignaziano indebolì l'ateneo sassarese almeno su tre diversi piani: sul piano economico-finanziario, perché le rendite e le risorse della Compagnia di Gesù rappresentavano la componente più importante del bilancio dell'Università restaurata (l'amministrazione dell'Azienda ex gesuitica si rivelò subito perfino più complessa e più farraginosa di quanto si fosse inizialmente temuto); sul piano dell'attività didattica, perché la condizione di precarietà economica ed esistenziale dei professori ex gesuiti finiva per smorzare lo slancio del corpo docente, ridotto sulla difensiva anche nel contesto civile e culturale locale; e infine sul piano della circolazione delle idee e dei canali di comunicazione con l'esterno dell'isola, perché lo scioglimento della Compagnia determinò non solo un complessivo impoverimento delle relazioni e dei contatti tra la comunità docente e altre realtà della penisola, ma anche il venir meno di un prezioso bacino di reclutamento di validi professori, e quindi il drastico restringersi delle opportunità di ricambio dall'esterno del corpo docente (un meccanismo che era stato ancora utilizzato nel 1772 con l'ingaggio dei professori gesuiti Giuseppe Mazzari per la cattedra di teologia scolastico-dogmatica, e Gaudenzio Dotta per quella di Sacra scrittura e lingua ebraica)67.

Rispetto al rapido ricambio, ai frequenti avvicendamenti e alla giovane età del corpo docente che avevano caratterizzato i primi anni di vita dell'Università riformata, negli anni Settanta e Ottanta l'Ateneo sassarese andò progressivamente ripiegandosi su se stesso. Accanto a un buon numero di docenti che conservarono il loro insegnamento fino all'inizio degli anni Novanta, i pochi professori chiamati a ricoprire le cattedre che via via si rendevano libere risulteranno in gran parte di estrazione locale, ex studenti della stessa Università e solo in pochi casi con qualche esperienza di studio fatta fuori dell'isola68. All'esiguità delle risorse economiche e alla fragilità delle strutture didattiche si aggiunsero così i problemi dell'invecchiamento del corpo docente e dello scarso apporto dall'esterno di nuovi stimoli e di altri modelli di didattica e di ricerca, in un quadro caratterizzato dal complessivo arretramento delle discipline matematiche e scientifiche e da un crescente isolamento culturale che alla fine del secolo tenderà a diventare irreversibile.

Inoltre con il passare degli anni entrò definitivamente in crisi quell'efficace strumento di gratificazione dell'impegno profuso negli studi che prevedeva la preferenza per i laureati sardi nell'attribuzione di uffici, magistrature e dignità ecclesiastiche: da un lato l'istruzione superiore perse la sua iniziale capacità di attrazione (anche in rapporto all'onerosità del mantenimento agli studi), dall'altro l'offerta di sbocchi professionali per i laureati delle Università sarde si rivelò ben presto molto inferiore alle aspettative. Di fatto gli impieghi attribuiti ai sardi a ricompensa del merito e del talento rappresentavano una parte relativamente modesta rispetto a quelli riservati a piemontesi o attribuiti soltanto per censo. In questo quadro un vero interesse a sostenere con impegno e con risorse adeguate lo sviluppo dell'Ateneo stentava in realtà a maturare sia sul versante locale, dove la società civile era ancora priva di una sua autonomia e di un suo dinamismo, sia sul versante governativo, dove la politica della monarchia sabauda non puntava più su un'effettiva crescita dell'istruzione nell'isola.

Dopo la vivace primavera inaugurata dalla riforma boginiana l'Università di Sassari si preparava ad attraversare un lungo autunno da cui avrebbe stentato ad uscire.

 

 

 



 

 

 



 

 

 
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