L’evoluzione dell’Islam in Bangladesh
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luogo, ad alcune scelte proprie degli studi islamici. Hodgson ebbe a sottolineare
l’effetto negativo esercitato dall’“Arabist and philological bias”, che induce a
focalizzare l’attenzione “above all with high culture, to the neglect of more local or
lower-class social conditions”.
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Ma questa propensione ad “immaginare l’Oriente”
è spia di una più profonda e radicata tendenza presente nella tradizione
intellettuale occidentale.
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Si
pone
dunque
la
necessità
di
sottrarsi
al
fascino
esercitato
dall’ipostatizzazione dell’anelito unitario e spostare l’attenzione sugli aspetti
concreti della presenza musulmana nel Bengala, spesso accantonati, se non rimossi.
Le nuove coordinate metodologiche permetteranno di cogliere le dinamiche di un
processo dialettico tra visione universale e la realtà vissuta, che è fonte non solo di
un perdurante dualismo, ma altresì di un’identità che è allo stesso tempo peculiare
della regione e partecipe di un patrimonio comune a tutti i musulmani.
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L’urgenza
di tale innovazione disciplinare è altresì sottolineata dalla crisi dell’approccio
terzomondista. La teorizzazione di un processo di modernizzazione che riteneva
superflui fattori religiosi ed etnici trova la sua negazione anche in Asia
meridionale, dove la crescita dei diversi fondamentalismi sottolinea come lo stesso
processo di modernizzazione non possa prescindere dal considerare fattori come il
senso di identità comunitaria che da questi processi sono rivitalizzanti.
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In
Bangladesh questa problematica, che nasce dal diverso modo di intendere il ruolo
dell’Islam, incide in modo determinante nella vita del paese.
Nel variegato mondo musulmano dell’India
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si possono individuare tre
componenti o atteggiamenti diversi, ma tutti integrati nella tradizione islamica. In
primo luogo vi è l’Islam ortodosso o se si preferisce “colto”. Esso è obbligatorio per
tutti i fedeli, anche se tale obbligatorietà non trova riscontro nella prassi. In India,
come altrove, tale rispondenza è fortemente influenzata dalla collocazione sociale,
dal livello di istruzione e da altri fattori. In Asia Meridionale questa visione
ortodossa è associata con particolari gruppi etnici, la vicinanza al profeta si è
basata non solo sulla fede, ma anche sul sangue. Un secondo livello è caratterizzato
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Hodgson, I, 1974, p. 40, 43.
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Ebbe a scrivere Foucault: “Come se laddove si era abituati a cercare delle origini, a risalire all’infinito
la linea delle antecedenze, a ricostruire delle tradizioni, […] si provasse una singolare ripugnanza a
pensare alla differenza, a descrivere degli scarti e delle dispersioni, a dissociare la forma rassicurante
dell’identico. O più esattamente, come se si trovasse difficoltà a teorizzare, a trarre le conseguenze
generali e persino a desumere tutte le implicazioni possibili di quei concetti di soglia, di mutazione, di
sistemi indipendenti di serie limitata, che nella pratica vengono usati dagli storici. Come se avessimo
paura di concepire l’altro dall’interno del tempo del nostro pensiero”, Foucault, 1980, pp. 17-18.
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Tale dualismo non è una peculiarità dell’Asia meridionale. Pearson, nell’individuare le dinamiche che
portarono all’egemonia culturale musulmana nell’Oceano indiano, nota: “Islam’s success was to a large
extent a result of its tolerance of local traditions, so that scholars distinguish between prayers and other
religious activities in the mosque, and those performed outside of it. Rather than coastal population
converting to Islam, they accepted it”. Pearson, 2003, p. 62.
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In anni recenti si è assistito al ritorno, su basi radicalmente innovative, degli “area studies”. Per una
recente rivalutazione si veda Spivak, 2003.
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Della “bewildering diversity” dei musulmani dell’India, Hasan scrive: “No statistical data are
required to establish their location in multiple streams of thoughts”. Hasan, 1997, p. 7.
A
MEDEO
M
AIELLO
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da credenze e prassi apparentemente lontane dall’ortodossia, ma con peso
rilevante sui comportamenti familiari e nella vita complessiva del credente. Vi è
inoltre un terzo livello che include credenze e forme di superstizione come il
malocchio che, sebbene diffuse in tutto il mondo islamico, possono essere definite
musulmane solo per il fatto che sono praticate da persone che si definiscono
musulmane e che gli altri accettano di considerare tali.
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Tralasciando quest’ultimo
aspetto, la peculiarità dell’Islam in India non è da ricercare tanto nella divisione
interna sopra delineata, rintracciabile anche in altri contesti culturali islamici, bensì
nella natura dell’interazione fra i due livelli. Obbiettivo primario, dunque, non sarà
tanto lo studio delle singole articolazioni, quanto di cogliere i processi di sintesi e
di dilatazione culturale, nonché di chiusura che hanno determinato nel tempo un
rapporto differenziato. Cogliere, dunque, l’esigenza di una comunità con
un’impalcatura ideologica relativamente rigida, di dotarsi con questa articolazione
interna, di un’elasticità che le ha permesso, da un lato di sopravvivere in un
contesto socio-culturale alieno, dall’altro di portare avanti un processo di
conversione unico nella storia dell’India. Questa articolazione ha portato anche ad
una perdurante tensione interna che ha assunto nel tempo valenza diversa e che
tuttora è fonte di travaglio per i musulmani del subcontinente. All’ombra di questa
tensione si sono sviluppati sia movimenti sincretistici, che fondamentalismi e
revivals, ma anche contrapposti nazionalismi. Individuare gli elementi costitutivi
di tale tensione non è agevole. Molti hanno sottolineato l’influenza della cosiddetta
anomalia indiana: in questa regione, l’Islam non assurgerà mai a religione
maggioritaria, ma, d’altro canto, non soccomberà nemmeno all’abbraccio
accomodante dell’“Indic Legacy”, o per usare l’espressione di Franci
all’Indianesimo. Questa anomalia ha fatto si che perdurasse una mentalità di
frontiera, caratterizzata da due nitide e contrapposte tendenze. Da un lato una
propensione a radicarsi, dall’altro il perdurare di un forte orientamento extra-
territoriale.
All’insegna di questa polarità di fondo e di lunga durata, l’Islam bengalese
verrà ad acquisire tratti specifici e peculiari. In linea generale si può affermare che
nell’India nord-occidentale, pur in presenza di una attenzione alla realtà locale,
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nel periodo post-Aurangzeb, con la fine della “civic legitimacy” dei Mughal e,
dunque, prima dell’avvento del nazionalismo, il mai sopito elemento conservatore,
postulando la necessità di ancorare la rinascita musulmana in India al ritorno ad
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Sulla presenza di questa forma di Islam popolare in India si rimanda alla ristampa del vecchio (1832)
Qanun-i Islam. Sharif, 1972.
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Come nota Hodgson “relations to the indigenous heritage were always a live issue”. Infatti sin dal
periodo del Sultanato la classe dirigente musulmana incoraggiò lo sviluppo, nelle diverse lingue, della
tradizione letteraria sanscrita. Fu questo atteggiamento di fondo che porterà alla creazione, sotto
egemonia musulmana, di una cultura colta che, pur non cancellando la fondamentale differenza in
religione, sarà condivisa dall’élite sia musulmana che hindu. Sulla questione si rimanda a Hodgson, III,
1974, pp. 59-60.