Sacra scrittura catechesi libro del profeta malachia



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10Oh, ci fosse fra voi chi chiude le porte, perché non arda più invano il mio altare! Non mi compiaccio di voi – dice il Signore degli eserciti – e non accetto l’offerta delle vostre mani!

È questa la verità più pesante di tutto l’Antico Testamento sulla falsità del culto. Supera infinitamente il disgusto manifestato in Isaia e in Geremia.



Oh, ci fosse fra voi chi chiude le porte, perché non arda più invano il mio altare! Non mi compiaccio di voi – dice il Signore degli eserciti – e non accetto l’offerta delle vostre mani! Perché non chiudere invece le porte del tempio del Signore?

Perché non sbarrare ogni accesso alla casa di Dio, facendo sì che nessuno vi entri? È preferibile il non culto, al culto immondo e impuro che offende Dio.

Il Signore non si compiace di chi fa queste cose. Mai potrà gradire offerte simili. Sono un insulto alla sua Signoria, Paternità, Regalità.

Si può pretendere pietà e benevolenza quando la nostra preghiera è un insulto al Signore? La prima regola della preghiera è il rispetto del Signore.

Come si rispetta il Signore? Pregando dall’obbedienza ad ogni sua Legge, Parola, Comando. L’offerta pura è comando del Signore ed è sua Legge.

Siamo tutti avvisati, ammoniti, messi in guardia. Il culto dovrà essere la grande, alta, somma manifestazione di onore, rispetto, amore, fede.



11Poiché dall’oriente all’occidente grande è il mio nome fra le nazioni e in ogni luogo si brucia incenso al mio nome e si fanno offerte pure, perché grande è il mio nome fra le nazioni. Dice il Signore degli eserciti.

Il versetto è di altissimo valore di rivelazione per noi. Il Signore attesta che tra le genti grande è il suo nome. Al suo nome tra le genti si fanno offerte pure.



Ab ortu enim solis usque ad occasum magnum est nomen meum in gentibus et in omni loco sacrificatur et offertur nomini meo oblatio munda quia magnum nomen meum in gentibus. Dicit Dominus exercituum (Mal 1.11).

diÒti ¢p' ¢natolîn ¹l…ou ›wj dusmîn tÕ Ônom£ mou dedÒxastai ™n to‹j œqnesin, kaˆ ™n pantˆ tÒpJ qum…ama pros£getai tù ÑnÒmat… mou kaˆ qus…a kaqar£, diÒti mšga tÕ Ônom£ mou ™n to‹j œqnesin, lšgei kÚrioj pantokr£twr (Mal 1,11).



Poiché dall’oriente all’occidente grande è il mio nome fra le nazioni e in ogni luogo si brucia incenso al mio nome e si fanno offerte pure, perché grande è il mio nome fra le nazioni. Dice il Signore degli eserciti.

È giusto chiedersi: qual è la verità insegnata in questo versetto? Ci può essere un’offerta pura senza la vera conoscenza del Signore?

Rispondiamo alla domanda, lasciandoci aiutare sia dal Libro di Giobbe che dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani.

In questi due Scritti, che sono purissima rivelazione per noi, viene intronizzata la coscienza. Dio, il vero Dio, è nella coscienza dell’uomo.



È nella coscienza che Lui parla e si manifesta tra le nazioni, tra le genti. Giobbe è figlio delle Genti. Nel Nuovo Testamento anche Cornelio è delle Genti.

Viveva nella terra di Us un uomo chiamato Giobbe, integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male. Gli erano nati sette figli e tre figlie; possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine, e una servitù molto numerosa. Quest’uomo era il più grande fra tutti i figli d’oriente.

I suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme. Quando avevano compiuto il turno dei giorni del banchetto, Giobbe li mandava a chiamare per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva olocausti per ognuno di loro. Giobbe infatti pensava: «Forse i miei figli hanno peccato e hanno maledetto Dio nel loro cuore». Così era solito fare Giobbe ogni volta.

Ora, un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore e anche Satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a Satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo». Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male». Satana rispose al Signore: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non sei forse tu che hai messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quello che è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!». Il Signore disse a Satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui». Satana si ritirò dalla presenza del Signore.

Un giorno accadde che, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del fratello maggiore, un messaggero venne da Giobbe e gli disse: «I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi. I Sabei hanno fatto irruzione, li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».

Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è appiccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».

Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I Caldei hanno formato tre bande: sono piombati sopra i cammelli e li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».

Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore, quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».

Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse: «Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!».

In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto (Gb 1,1-22).

Accadde, un giorno, che i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore, e anche Satana andò in mezzo a loro a presentarsi al Signore. Il Signore chiese a Satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo». Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male. Egli è ancora saldo nella sua integrità; tu mi hai spinto contro di lui per rovinarlo, senza ragione». Satana rispose al Signore: «Pelle per pelle; tutto quello che possiede, l’uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e colpiscilo nelle ossa e nella carne e vedrai come ti maledirà apertamente!». Il Signore disse a Satana: «Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita».

Satana si ritirò dalla presenza del Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere. Allora sua moglie disse: «Rimani ancora saldo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!». Ma egli le rispose: «Tu parli come parlerebbe una stolta! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?».

In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.

Tre amici di Giobbe vennero a sapere di tutte le disgrazie che si erano abbattute su di lui. Partirono, ciascuno dalla sua contrada, Elifaz di Teman, Bildad di Suach e Sofar di Naamà, e si accordarono per andare a condividere il suo dolore e a consolarlo. Alzarono gli occhi da lontano, ma non lo riconobbero. Levarono la loro voce e si misero a piangere. Ognuno si stracciò il mantello e lanciò polvere verso il cielo sul proprio capo. Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore (GB 2,1-13).

Giobbe continuò il suo discorso dicendo: «Potessi tornare com’ero ai mesi andati, ai giorni in cui Dio vegliava su di me, quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre; com’ero nei giorni del mio rigoglio, quando Dio proteggeva la mia tenda, quando l’Onnipotente stava ancora con me e i miei giovani mi circondavano, quando mi lavavo i piedi nella panna e la roccia mi versava ruscelli d’olio!

Quando uscivo verso la porta della città e sulla piazza ponevo il mio seggio, vedendomi, i giovani si ritiravano e i vecchi si alzavano in piedi, i notabili sospendevano i loro discorsi e si mettevano la mano alla bocca, la voce dei capi si smorzava e la loro lingua restava fissa al palato; infatti con gli orecchi ascoltavano e mi dicevano felice, con gli occhi vedevano e mi rendevano testimonianza, perché soccorrevo il povero che chiedeva aiuto e l’orfano che ne era privo.

La benedizione del disperato scendeva su di me e al cuore della vedova infondevo la gioia. Ero rivestito di giustizia come di un abito, come mantello e turbante era la mia equità. Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo. Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto, spezzavo le mascelle al perverso e dai suoi denti strappavo la preda.

Pensavo: “Spirerò nel mio nido e moltiplicherò i miei giorni come la fenice. Le mie radici si estenderanno fino all’acqua e la rugiada di notte si poserà sul mio ramo. La mia gloria si rinnoverà in me e il mio arco si rinforzerà nella mia mano”. Mi ascoltavano in attesa fiduciosa e tacevano per udire il mio consiglio. Dopo le mie parole non replicavano, e su di loro stillava il mio dire. Le attendevano come si attende la pioggia e aprivano la bocca come ad acqua primaverile.

Se a loro sorridevo, non osavano crederlo, non si lasciavano sfuggire la benevolenza del mio volto. Indicavo loro la via da seguire e sedevo come capo, e vi rimanevo come un re fra le sue schiere o come un consolatore di afflitti (Gb 29,1-26).

Ora, invece, si burlano di me i più giovani di me in età, i cui padri non avrei degnato di mettere tra i cani del mio gregge. Anche la forza delle loro mani a che mi giova? Hanno perduto ogni vigore; disfatti dall’indigenza e dalla fame, brucano per l’arido deserto, da lungo tempo regione desolata, raccogliendo erbe amare accanto ai cespugli e radici di ginestra per loro cibo.

Espulsi dalla società, si grida dietro a loro come al ladro; dimorano perciò in orrendi dirupi, nelle grotte della terra e nelle rupi. In mezzo alle macchie urlano accalcandosi sotto i roveti, razza ignobile, razza senza nome, cacciati via dalla terra.

Ora, invece, io sono la loro canzone, sono diventato la loro favola! Hanno orrore di me e mi schivano né si trattengono dallo sputarmi in faccia! Egli infatti ha allentato il mio arco e mi ha abbattuto, ed essi di fronte a me hanno rotto ogni freno. A destra insorge la plebaglia, per far inciampare i miei piedi e tracciare contro di me la strada dello sterminio. Hanno sconvolto il mio sentiero, cospirando per la mia rovina, e nessuno si oppone a loro. Irrompono come da una larga breccia, sbucano in mezzo alle macerie.

I terrori si sono volti contro di me; si è dileguata, come vento, la mia dignità e come nube è svanita la mia felicità. Ed ora mi consumo, mi hanno colto giorni funesti. Di notte mi sento trafiggere le ossa e i dolori che mi rodono non mi danno riposo. A gran forza egli mi afferra per la veste, mi stringe come il collo della mia tunica. Mi ha gettato nel fango: sono diventato come polvere e cenere. Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta.

Sei diventato crudele con me e con la forza delle tue mani mi perseguiti; mi sollevi e mi poni a cavallo del vento e mi fai sballottare dalla bufera. So bene che mi conduci alla morte, alla casa dove convengono tutti i viventi. Nella disgrazia non si tendono forse le braccia e non si invoca aiuto nella sventura? Non ho forse pianto con chi aveva una vita dura e non mi sono afflitto per chi era povero?

Speravo il bene ed è venuto il male, aspettavo la luce ed è venuto il buio. Le mie viscere ribollono senza posa e giorni d’affanno mi hanno raggiunto. Avanzo con il volto scuro, senza conforto, nell’assemblea mi alzo per invocare aiuto. Sono divenuto fratello degli sciacalli e compagno degli struzzi. La mia pelle annerita si stacca, le mie ossa bruciano per la febbre. La mia cetra accompagna lamenti e il mio flauto la voce di chi piange (Gb 30,1-31).

Ho stretto un patto con i miei occhi, di non fissare lo sguardo su una vergine. E invece, quale sorte mi assegna Dio di lassù e quale eredità mi riserva l’Onnipotente dall’alto? Non è forse la rovina riservata all’iniquo e la sventura per chi compie il male? Non vede egli la mia condotta e non conta tutti i miei passi? Se ho agito con falsità e il mio piede si è affrettato verso la frode, mi pesi pure sulla bilancia della giustizia e Dio riconosca la mia integrità.

Se il mio passo è andato fuori strada e il mio cuore ha seguìto i miei occhi, se la mia mano si è macchiata, io semini e un altro ne mangi il frutto e siano sradicati i miei germogli. Se il mio cuore si lasciò sedurre da una donna e sono stato in agguato alla porta del mio prossimo, mia moglie macini per un estraneo e altri si corichino con lei; difatti quella è un’infamia, un delitto da denunciare, quello è un fuoco che divora fino alla distruzione e avrebbe consumato tutto il mio raccolto.

Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me, che cosa farei, quando Dio si alzasse per giudicare, e che cosa risponderei, quando aprisse l’inquisitoria? Chi ha fatto me nel ventre materno, non ha fatto anche lui? Non fu lo stesso a formarci nel grembo?

Se ho rifiutato ai poveri quanto desideravano, se ho lasciato languire gli occhi della vedova, se da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse anche l’orfano – poiché fin dall'infanzia come un padre io l’ho allevato e, appena generato, gli ho fatto da guida –, se mai ho visto un misero senza vestito o un indigente che non aveva di che coprirsi, se non mi hanno benedetto i suoi fianchi, riscaldàti con la lana dei miei agnelli, se contro l’orfano ho alzato la mano, perché avevo in tribunale chi mi favoriva, mi si stacchi la scapola dalla spalla e si rompa al gomito il mio braccio, perché mi incute timore il castigo di Dio e davanti alla sua maestà non posso resistere.

Se ho riposto la mia speranza nell’oro e all’oro fino ho detto: “Tu sei la mia fiducia”, se ho goduto perché grandi erano i miei beni e guadagnava molto la mia mano, se, vedendo il sole risplendere e la luna avanzare smagliante, si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio, anche questo sarebbe stato un delitto da denunciare, perché avrei rinnegato Dio, che sta in alto.

Ho gioito forse della disgrazia del mio nemico? Ho esultato perché lo colpiva la sventura? Ho permesso alla mia lingua di peccare, augurandogli la morte con imprecazioni? La gente della mia tenda esclamava: “A chi non ha dato le sue carni per saziarsi?”.

All’aperto non passava la notte il forestiero e al viandante aprivo le mie porte. Non ho nascosto come uomo la mia colpa, tenendo celato nel mio petto il mio delitto, come se temessi molto la folla e il disprezzo delle famiglie mi spaventasse, tanto da starmene zitto, senza uscire di casa. Se contro di me grida la mia terra e i suoi solchi piangono a una sola voce, se ho mangiato il suo frutto senza pagare e ho fatto sospirare i suoi coltivatori, in luogo di frumento mi crescano spini ed erbaccia al posto dell’orzo. Oh, avessi uno che mi ascoltasse!

Ecco qui la mia firma! L’Onnipotente mi risponda! Il documento scritto dal mio avversario vorrei certo portarlo sulle mie spalle e cingerlo come mio diadema! Gli renderò conto di tutti i miei passi, mi presenterei a lui come un principe». Sono finite le parole di Giobbe (Gb 31,1-40b).

Perciò chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l’altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio contro quelli che commettono tali cose è secondo verità. Tu che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio? O disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però, con il tuo cuore duro e ostinato, accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che, perseverando nelle opere di bene, cercano gloria, onore, incorruttibilità; ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono alla verità e obbediscono all’ingiustizia. Tribolazione e angoscia su ogni uomo che opera il male, sul Giudeo, prima, come sul Greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo, prima, come per il Greco: Dio infatti non fa preferenza di persone.

Tutti quelli che hanno peccato senza la Legge, senza la Legge periranno; quelli invece che hanno peccato sotto la Legge, con la Legge saranno giudicati. Infatti, non quelli che ascoltano la Legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la Legge saranno giustificati. Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini, secondo il mio Vangelo, per mezzo di Cristo Gesù.

Ma se tu ti chiami Giudeo e ti riposi sicuro sulla Legge e metti il tuo vanto in Dio, ne conosci la volontà e, istruito dalla Legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di essere guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché nella Legge possiedi l’espressione della conoscenza e della verità... Ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che dici di non commettere adulterio, commetti adulterio? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti vanti della Legge, offendi Dio trasgredendo la Legge! Infatti sta scritto: Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra le genti.

Certo, la circoncisione è utile se osservi la Legge; ma, se trasgredisci la Legge, con la tua circoncisione sei un non circonciso. Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della Legge, la sua incirconcisione non sarà forse considerata come circoncisione? E così, chi non è circonciso fisicamente, ma osserva la Legge, giudicherà te che, nonostante la lettera della Legge e la circoncisione, sei trasgressore della Legge. Giudeo, infatti, non è chi appare tale all’esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini, ma da Dio (Rm 2,1-29).

Che cosa dunque ha in più il Giudeo? E qual è l’utilità della circoncisione? Grande, sotto ogni aspetto. Anzitutto perché a loro sono state affidate le parole di Dio. Che dunque? Se alcuni furono infedeli, la loro infedeltà annullerà forse la fedeltà di Dio? Impossibile! Sia chiaro invece che Dio è veritiero, mentre ogni uomo è mentitore, come sta scritto: Affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e vinca quando sei giudicato.

Se però la nostra ingiustizia mette in risalto la giustizia di Dio, che diremo? Dio è forse ingiusto quando riversa su di noi la sua ira? Sto parlando alla maniera umana. Impossibile! Altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo? Ma se la verità di Dio abbondò nella mia menzogna, risplende di più per la sua gloria, perché anch’io sono giudicato ancora come peccatore? E non è come alcuni ci fanno dire: «Facciamo il male perché ne venga il bene»; essi ci calunniano ed è giusto che siano condannati.

Che dunque? Siamo forse noi superiori? No! Infatti abbiamo già formulato l’accusa che, Giudei e Greci, tutti sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto:

Non c’è nessun giusto, nemmeno uno, non c’è chi comprenda, non c’è nessuno che cerchi Dio! Tutti hanno smarrito la via, insieme si sono corrotti; non c’è chi compia il bene, non ce n’è neppure uno. La loro gola è un sepolcro spalancato, tramavano inganni con la loro lingua, veleno di serpenti è sotto le loro labbra, la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza. I loro piedi corrono a versare sangue; rovina e sciagura è sul loro cammino e la via della pace non l’hanno conosciuta. Non c’è timore di Dio davanti ai loro occhi.

Ora, noi sappiamo che quanto la Legge dice, lo dice per quelli che sono sotto la Legge, di modo che ogni bocca sia chiusa e il mondo intero sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio. Infatti in base alle opere della Legge nessun vivente sarà giustificato davanti a Dio, perché per mezzo della Legge si ha conoscenza del peccato.

Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù.

Dove dunque sta il vanto? È stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge. Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti! Poiché unico è il Dio che giustificherà i circoncisi in virtù della fede e gli incirconcisi per mezzo della fede. Togliamo dunque ogni valore alla Legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la Legge (Rm 3,1-31).

Vi era a Cesarèa un uomo di nome Cornelio, centurione della coorte detta Italica. Era religioso e timorato di Dio con tutta la sua famiglia; faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio. Un giorno, verso le tre del pomeriggio, vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo: «Cornelio!». Egli lo guardò e preso da timore disse: «Che c’è, Signore?». Gli rispose: «Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite dinanzi a Dio ed egli si è ricordato di te. Ora manda degli uomini a Giaffa e fa’ venire un certo Simone, detto Pietro. Egli è ospite presso un tale Simone, conciatore di pelli, che abita vicino al mare». Quando l’angelo che gli parlava se ne fu andato, Cornelio chiamò due dei suoi servitori e un soldato, uomo religioso, che era ai suoi ordini; spiegò loro ogni cosa e li mandò a Giaffa.

Il giorno dopo, mentre quelli erano in cammino e si avvicinavano alla città, Pietro, verso mezzogiorno, salì sulla terrazza a pregare. Gli venne fame e voleva prendere cibo. Mentre glielo preparavano, fu rapito in estasi: vide il cielo aperto e un oggetto che scendeva, simile a una grande tovaglia, calata a terra per i quattro capi. In essa c’era ogni sorta di quadrupedi, rettili della terra e uccelli del cielo. Allora risuonò una voce che gli diceva: «Coraggio, Pietro, uccidi e mangia!». Ma Pietro rispose: «Non sia mai, Signore, perché io non ho mai mangiato nulla di profano o di impuro». E la voce di nuovo a lui: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano». Questo accadde per tre volte; poi d’un tratto quell’oggetto fu risollevato nel cielo. Mentre Pietro si domandava perplesso, tra sé e sé, che cosa significasse ciò che aveva visto, ecco gli uomini inviati da Cornelio: dopo aver domandato della casa di Simone, si presentarono all’ingresso, chiamarono e chiesero se Simone, detto Pietro, fosse ospite lì. Pietro stava ancora ripensando alla visione, quando lo Spirito gli disse: «Ecco, tre uomini ti cercano; àlzati, scendi e va’ con loro senza esitare, perché sono io che li ho mandati». Pietro scese incontro a quegli uomini e disse: «Eccomi, sono io quello che cercate. Qual è il motivo per cui siete venuti?». Risposero: «Il centurione Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio, stimato da tutta la nazione dei Giudei, ha ricevuto da un angelo santo l’ordine di farti venire in casa sua per ascoltare ciò che hai da dirgli». Pietro allora li fece entrare e li ospitò.

Il giorno seguente partì con loro e alcuni fratelli di Giaffa lo accompagnarono. Il giorno dopo arrivò a Cesarèa. Cornelio stava ad aspettarli con i parenti e gli amici intimi che aveva invitato. Mentre Pietro stava per entrare, Cornelio gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!». Poi, continuando a conversare con lui, entrò, trovò riunite molte persone e disse loro: «Voi sapete che a un Giudeo non è lecito aver contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo. Per questo, quando mi avete mandato a chiamare, sono venuto senza esitare. Vi chiedo dunque per quale ragione mi avete mandato a chiamare». Cornelio allora rispose: «Quattro giorni or sono, verso quest’ora, stavo facendo la preghiera delle tre del pomeriggio nella mia casa, quando mi si presentò un uomo in splendida veste e mi disse: “Cornelio, la tua preghiera è stata esaudita e Dio si è ricordato delle tue elemosine. Manda dunque qualcuno a Giaffa e fa’ venire Simone, detto Pietro; egli è ospite nella casa di Simone, il conciatore di pelli, vicino al mare”. Subito ho mandato a chiamarti e tu hai fatto una cosa buona a venire. Ora dunque tutti noi siamo qui riuniti, al cospetto di Dio, per ascoltare tutto ciò che dal Signore ti è stato ordinato».

Pietro allora prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni (At 10,1-48).

Questo sta dicendo il Signore al suo popolo: Giobbe mi sta offrendo sacrifici puri, santi, perfetti. Cornelio mi sta servendo con coscienza retta.

Perché il mio popolo mi serve con coscienza sporca, immonda, senza alcun rispetto né onore per il mio santo nome?

Gesù non dice nel Vangelo che la regina di Saba e Ninive si alzeranno nel giorno del giudizio e condanneranno la sua generazione?

Ninive è città pagana e si è convertita al Signore. Anche la regina di Saba è pagana ed è venuta ad ascoltare la sapienza di Salomone.

Ecco la verità insegnata dal Signore: ci sono nel mondo coscienze così delicate, così attente, così sensibili, da evitare anche il male più “innocuo”.



Il mio popolo cosa fa? Viene ad insultarmi e per di più nel mio santo tempio, che è luogo di onore, rispetto, riverenza. Somma differenza con le Genti.

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