Repubblica italiana



Yüklə 225,77 Kb.
səhifə6/6
tarix13.12.2017
ölçüsü225,77 Kb.
#15279
1   2   3   4   5   6

La censura è fondata nei termini che seguono.

Come già precisato dalla Sezione, l’inciso “relativamente ai prodotti oggetto dell’intesa”, di cui al citato art. 15 della legge n. 287/90 non comporta la necessità di separare dal fatturato ogni voce specifica non perfettamente coincidente con il prodotto tipo oggetto della pratica; tuttavia il concetto di fatturato di riferimento non può essere scisso del tutto dal mercato rilevante (Cons. Stato, VI, n. 2199/2002).

Nel caso in esame, la distinzione, operata dal Tar e confermata in sede giurisdizionale, tra mercato dei buoni pasto nel settore pubblico e mercato degli stessi beni nel settore privato comporta come conseguenza che dai “prodotti oggetto dell’intesa” devono essere esclusi i buoni pasto venduti nel settore privato, non essendo ragionevole in questa peculiare fattispecie estendere il fatturato di riferimento oltre quello relativo al mercato rilevante individuato sotto il profilo del prodotto.

Tuttavia, non può essere accolta in pieno la tesi delle appellanti, che sostengono che il fatturato deve essere solo quello dei buoni pasto della gara Consip.

Infatti, con il termine fatturato relativo ai prodotti oggetto dell’intesa il legislatore non ha inteso limitare il parametro di riferimento, su cui calcolare la sanzione, al solo fatturato ottenuto grazie all’intesa illecita, ma ha voluto semplicemente individuare tutto il fatturato realizzato dall’impresa in relazione a quei determinati beni (peraltro, nell’anno antecedente la notifica della diffida a dimostrazione di una assenza di correlazione tra benefici dell’intesa e parametro scelto).

Ad esempio, in presenza di un’intesa geograficamente circoscritta, il fatturato di riferimento comprenderà tutti i beni uguali a quelli oggetto dell’intesa, anche se realizzato in zone territoriali poste al di fuori dell’ambito geografico dell’infrazione.

Il fatturato non potrà però essere esteso a prodotti che si differenziano sotto il profilo merceologico (nel caso di specie, sotto il profilo delle modalità di acquisizione del bene nel settore privato) da quelli oggetto dell’intesa.

Un’interpretazione analoga è già stata seguita da questa Sezione con la sentenza n. 4118/2002, in cui il fatturato relativo ai prodotti oggetto dell’intesa è stato limitato alle attività che avevano costituito oggetto di contestazione da parte dell’Autorità (servizi di vigilanza prestati presso enti pubblici ed Enel) con esclusione del servizio di vigilanza presso banche (estraneo all’oggetto dell’indagine).

Da ciò deriva che il fatturato di riferimento deve essere quello realizzato dalle imprese nel settore dei buoni pasto venduti alle pubbliche amministrazioni nell’anno antecedente la notifica della diffida, in quanto il rapporto tra gara Consip e l’intero settore pubblico è un rapporto assimilabile al caso della limitazione geografica dell’intesa, descritta in precedenza.

6.5.4. Vanno infine respinte le censure, con cui le appellanti si lamentano dell'avvenuto assoggettamento di tutte le società allo stesso criterio percentuale di quantificazione della sanzione.

Questa assimilazione sarebbe stata operata dall'Autorità in modo apodittico, non sarebbe sorretta da congrua motivazione e contrasterebbe con le risultanze istruttorie, le quali denoterebbero invece il ruolo solo marginale della partecipazione assunta dalle deducenti (e qui ciascuna impresa tende a sottolineare, con motivazioni tra loro contrastanti, il proprio ruolo marginale).

Come correttamente rilevato dal Tar, la quantificazione delle sanzioni, in misura percentuale uguale per tutte le imprese, è coerente con la semplice considerazione che l'intesa non sarebbe potuta realizzare se non ci fosse stata la collusione di tutte le imprese sanzionate. Il contributo causale che ciascuna di loro ha fornito, dunque, è stato parimenti essenziale per tutte, e di tipo paritetico.

Un’intesa collusiva quale quella esaminata assume i medesimi connotati di gravità a prescindere dalla dimensione delle singole imprese, dalle quote di mercato da loro detenute, dal fatto che le imprese abbiano rafforzato, mantenuto o leggermente diminuito tali quote a seguito dell’intesa, dalla individuazione dell’esatto momento di adesione alla concertazione, che comunque richiedeva, per riuscire, il concorso di tutte.

E’ infondata, pertanto, la censura proposta da Sagifi con riferimento alle dimensioni minori dell’impresa e al fatto che ha partecipato, come La Cascina, in un solo lotto singolarmente, senza peraltro comportare una sostanziale modificazione degli esiti della gara, in quanto l’esame delle singole offerte potrebbe condurre a quest’esito anche per altre imprese, ma è stato proprio l’uniforme comportamento collettivo a garantire il funzionamento del meccanismo anticoncorrenziale.

Di conseguenza, l’adozione di un unico criterio percentuale applicabile per tutte le imprese risulta essere corretta.

6.6. L’Autorità dovrà quindi, ora rinnovare, nel contraddittorio delle parti, il procedimento nella sola parte relativa alla quantificazione della sanzione, applicando l’originaria versione dell’art. 15 della legge n. 287/1990 e prendendo come parametro di riferimento il fatturato realizzato dalle imprese, nell’anno antecedente la notificazione della diffida, relativamente ai buoni pasto venduti nel settore pubblico.

Nel riesercizio della potestà sanzionatoria l’Autorità dovrà tenere presente la diversa durata dell’infrazione (secondo quanto affermato dal Tar a pag. 81 della sentenza impugnata e non contestato in sede di appello) ed anche il fatto che il parametro di riferimento è mutato (dall’intero fatturato a quello relativo ai soli prodotti oggetto dell’intesa), essendo evidente che percentuali e parametri da applicare esprimono elementi di valore non assoluto, ma idonei a quantificare in concreto la sanzione, il cui importo finale è quello da valutare in termini di congruità (auspicabilmente secondo criteri di ordine generale o mediante specifiche e più approfondite spiegazioni relative ai singoli casi, come già sottolineato da questa Sezione con sentenza n. 4362/2002).

7. Motivi relativi alla diffida

7.1. Con il capo b) dell’impugnato provvedimento l’Autorità ha diffidato le imprese affinché cessassero dalla continuazione dell'infrazione, dando comunicazione all'Autorità delle misure adottate per la cessazione dell'infrazione entro 90 giorni dalla notificazione del provvedimento.

Il Tar ha respinto le censure, proposte avverso la diffida, sulla base della seguente interpretazione:

- la diffida in contestazione costituisce fedele espressione dell'art. 15 della legge n. 287, il quale stabilisce che se l'Autorità « ravvisa infrazioni agli artt. 2 o 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l'eliminazione delle infrazioni stesse », senza lasciare spazio a valutazioni discrezionali da parte dell’Autorità;

- la funzione propria della diffida è quella di promuovere - oltre che la cessazione dell'infrazione eventualmente ancora in corso - una rimozione delle conseguenze anticompetitive generate dall'illecito anticoncorrenziale e tuttora in atto;

- nel caso concreto, il potere dovere di diffida dell'Autorità investe le sorti di una convenzione (della quale è stata esclusa la nullità) conclusa dalle imprese sanzionate con un'Amministrazione terza; tale rapporto contrattuale richiede una determinazione del soggetto contraente (Consip) per essere autoritativamente sciolto (salva, nei casi tipizzati dal Codice civile, la pronuncia dell'autorità giudiziaria);

- l'iniziativa in autotutela della Consip deve essere ritenuta giuridicamente doverosa nell'an, e discrezionale solo nel quomodo;

- ai principi esposti la Consip deve quindi uniformare le proprie determinazioni tanto rispetto alle sorti degli atti di aggiudicazione a suo tempo emessi in favore delle ricorrenti, quanto nell'esercizio della propria parimenti necessaria ma doverosa (salvo l'indicato, limitato profilo di discrezionalità) dichiarazione della volontà di avvalersi della risoluzione del contratto a mente dell'art. 1456 cpv. Cod. civ..

7.2. Tale statuizione del giudice di primo grado, relativa alla diffida, viene impugnata sotto opposti profili sia dall’Autorità, che dalle imprese sanzionate ed è stata inoltre oggetto di un ricorso della Consip, tendente all’accertamento che la decisione del Tar non è idonea a dispiegare autorità di cosa giudicata per la parte che riguarda la condotta della Consip.

Pronunciando su tutte queste domande, il Collegio ritiene di dover respingere il ricorso in appello proposto dall’Autorità e di respingere, con motivazione parzialmente diversa rispetto al Tar, i ricorsi proposti in primo grado dalle imprese sanzionate avverso la diffida.

Come correttamente rilevato dal Tar, la diffida “per l’eliminazione dell’infrazione” costituisce atto dovuto da parte dell’Autorità, in quanto la finalità della diffida non è solo quella di eliminare i comportamenti oggetto dell’intesa, che come fatti storici non potrebbero essere cancellati, ma anche quella di rimuovere, ove possibile, le conseguenze anticoncorrenziali dell’intesa e di intimare alle imprese di astenersi dal porre in essere analoghi comportamenti per il futuro.

Del resto, anche l’Autorità, nel ricorso in appello, ha evidenziato il rischio di una continuazione tacita dell’intesa per perpetuare la distorsione della concorrenza iniziata con il coordinamento prima della gara Consip.

La diffida ha quindi anche lo scopo di intimare alle imprese di astenersi dagli accertati comportamenti anticoncorrenziali per il futuro (il che, nel caso concreto, può essere inteso anche con riferimento alla rinnovazione della gara bandita da Consip o per eventuali altre gare).

La motivazione fornita dal Tar e i contrapposti motivi di appello coinvolgono però anche la questione relativa ai poteri dell’Autorità in relazione ai contratti stipulati dalle imprese con Consip.

Si è detto in precedenza che la stipulazione e l’esecuzione dei contratti tra le imprese e Consip non costituisce l’oggetto dell’intesa, ma integra un effetto di essa.

Tuttavia, si ribadisce che la funzione della diffida è anche quella di eliminare le conseguenze dell’infrazione.

Deve però ritenersi che né all’Autorità, né al giudice amministrativo spetti in questo caso di accertare l’eventuale nullità dei contratti stipulati “a valle” (e con un soggetto terzo) rispetto all’intesa anticoncorrenziale.

La questione non deve quindi essere esaminata non perché il Collegio intenda sottrarsi a tale compito, ma perché il problema non assume rilievo neanche in via incidentale, in quanto la diffida dell’Autorità può riguardare solo comportamenti da imporre alle imprese e non anche la qualificazione giuridica del tipo di invalidità che dall’accertamento delle infrazioni si trasmette, o meno, ai contratti stipulati “a valle” (la stessa Autorità riconosce che il proprio potere di diffida riguarda i soli comportamenti delle imprese e non investe le sorti dei contratti stipulati con la Consip – v. pagg. 27 e ss. del ricorso in appello)

La eventuale nullità dei “contratti a valle” può essere dichiarata solo dal giudice ordinario, a cui l’art. 33, comma 2, della legge n. 287/1990 attribuisce la giurisdizione per le azioni di nullità e di risarcimento del danno (sulla questione, peraltro, l’orientamento della Corte di Cassazione non è univoco, essendo prevalsa talora la tesi della nullità dei contratti posti “a valle” rispetto ad intese nulle perché anticoncorrenziali – Cass. civ., I, n. 827/1999 – ed altre volte la tesi che invece la nullità di tali intese non determina quella dei contratti “ a valle” – Cass. civ., III, n. 9384/2003).

Nella fattispecie in esame, l’Autorità si è limitata ad impartire una diffida del tutto generica senza indicare alle parti alcuno specifico comportamento da tenere con riguardo ai rapporti in essere con Consip.

Di conseguenza, non può che prevalere una interpretazione letterale della diffida nel senso di intimazione ad astenersi, anche per il futuro, dai comportamenti anticoncorrenziali accertati.

Non si tratta di modificare o di sostituire il provvedimento impugnato in tale parte, come sostenuto dall’Autorità nel ricorso in appello, ma di prendere atto che nel provvedimento l’Autorità nulla ha detto circa specifici comportamenti, che le imprese avrebbero dovuto assumere nel rapporto con Consip, limitandosi ad affermare (sbagliando come dimostrato in precedenza) la permanenza dell’infrazione causa l’esecuzione in corso dei contratti stipulati con Consip (par. 199 -203 dell’impugnato provvedimento, relativi alla durata dell’infrazione ai fini dell’individuazione della norma applicabile per la sanzione pecuniaria e non alla diffida).

Una diffida del tutto generica, quale quella in esame, non è idonea ad essere interpretata nel senso di comprendere anche comportamenti che le imprese devono tenere nei confronti di un soggetto terzo (Consip).

L’Autorità avrebbe quindi dovuto valutare la posizione delle imprese sanzionate e di un soggetto terzo (Consip) parte lesa rispetto all’infrazione accertata e i possibili comportamenti da imporre alle imprese; il tutto con una adeguata motivazione, del tutto carente nel caso di specie.

Tale soluzione appare conforme alla giurisprudenza comunitaria, citata anche dal Tar (Trib. CE, sentenza 28 febbraio 2002, causa T-395\94, punti 412 415).

In tale occasione, il giudice comunitario ha osservato che la maggior parte degli accordi orizzontali di fissazione dei prezzi o di ripartizione del mercato hanno effetti, più o meno duraturi, sui terzi, senza tuttavia che la Commissione ritenga normalmente necessario corredare le sue decisioni di constatazione di infrazioni con obblighi specifici nei confronti delle imprese.

In quel caso, l’imposizione di tali obblighi (di informare «i clienti con cui hanno concluso contratti di servizio ed altri contratti circa il diritto dei medesimi di rinegoziarne le relative clausole o di risolverli immediatamente») è stata annullata dal Tribunale di primo grado, che ha rilevato che la Commissione avrebbe dovuto motivare esaurientemente il suo provvedimento.

Rispetto a tale orientamento, la giurisprudenza della Corte di Giustizia citata dalle appellanti (Corte di giustizia 20 settembre 2001 Courage Ltd, causa C-453/99, punto 22), non è pertinente, in quanto con tale pronuncia la Corte ha affrontato (in modo innovativo) la differente questione della incompatibilità con il diritto comunitario della c.d. in pari delicto doctrine, nella misura in cui impedisce ad un contraente di chiedere il risarcimento dei danni derivatigli dall’intesa illecita per il solo fatto di esservi stato parte. Si trattava quindi degli effetti della nullità di un’intesa tra le parti della stessa intesa e non sui contratti stipulati “a valle” con soggetti terzi (in tale quadro deve essere inserita l’affermazione contenuta nella sentenza, secondo cui l'accordo nullo è privo di qualsivoglia effetto, passato e futuro, tra i contraenti, e non può essere opposto ai terzi).

La suddetta interpretazione non comporta alcuna lesione al diritto antitrust, né priva l’Autorità della leva principale del suo potere di intervento, come sostenuto dalla stessa Autorità in giudizio, ma anzi conferma la sussistenza di una autonoma valutazione da parte dell’Autorità rispetto a fatti lesivi della concorrenza, in ordine ai quali l’Autorità può incidere con sanzioni pecuniarie e con le diffide, che, per poter ingiungere specifici comportamenti diversi dalla mera cessazione di quelli tramite cui è avvenuta la concertazione, devono però essere supportate da una adeguata motivazione e dalla valutazione della posizione di tutte le parti interessate nei sensi di cui si è detto in precedenza.

L’interpretazione seguita, quindi, conduce a ritenere ammissibile che attraverso la diffida l’Autorità possa ingiungere misure di rimozione degli effetti dell’intesa illecita, aventi ad oggetto il comportamento delle imprese (ma non il profilo della validità, o meno, dei contratti); al riguardo, la citata sentenza Courage della corte di Giustizia può essere di ausilio per confermare che il regime della tutela nei confronti di comportamenti anticompetitivi e dei loro effetti non possa essere in assoluto impedito dall’esistenza di rapporti negoziali.

In tali ipotesi, l’Autorità dovrà valutare la fattispecie concreta al suo esame, i riflessi della specifica diffida sulle posizioni di terzi e l’idoneità delle misure imposte sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità considerato che ciò che è atto dovuto è la diffida ma non anche l’inclusione nella diffida di tali specifiche misure.

L’adozione di una siffatta diffida presuppone non solo una adeguata motivazione, che nel caso di specie è mancata, ma anche l’esplicitazione delle misure imposte da parte dell’Autorità, del tutto assente nell’impugnato provvedimento con la conseguenza che deve negarsi che la diffida fosse idonea ad estendersi anche a comportamenti delle imprese nella fase di esecuzione dei contratti stipulati con la Consip.

7.3. Interpretata in tal senso la diffida esula dall’oggetto del giudizio – ed ha errato il Tar ad affrontarla – la questione della doverosità, o meno, del potere di autotutela esercitabile da Consip.

Consip è un soggetto terzo rispetto al procedimento concluso dall’Autorità e, quindi, la diffida emessa da questa non poteva certo riguardare comportamenti o attività da porre in essere da parte di Consip, come del resto sembra ammettere la stessa Autorità, secondo cui Consip avrebbe potuto adottare determinazioni idonee al fine della prosecuzione della fornitura da parte delle imprese sanzionate (v. pag. 26 del ricorso dell’Autorità).

L’intervento di Consip in giudizio non consente, quindi, al giudice di estendere l’ambito della propria decisione anche alla condotta che Consip deve tenere, trattandosi di questione che esula del tutto dall’oggetto, delimitato dall’atto impugnato.

In tale parte, quindi, deve essere corretta la motivazione dell’impugnata sentenza.

La reiezione dei ricorsi proposti avverso la diffida, con motivazione parzialmente diversa rispetto a quella fornita dal Tar, rende improcedibile il controricorso, proposto da Consip per l’accertamento che la decisione del Tar non è idonea a dispiegare autorità di cosa giudicata per la parte che riguarda la condotta della Consip.

Peraltro, i contratti stipulati con Consip sono stati interamente eseguiti, dopo che il Tar aveva in via cautelare sospeso il provvedimento impugnato nella parte relativa alla diffida e prima ancora dell’adozione dell’atto di autotutela da parte di Consip, prodotto in giudizio all’odierna udienza.

8. Le spese processuali.

L’accoglimento parziale dei ricorsi in appello, proposti dalle imprese sanzionate e la reiezione dell’appello proposto dall’Autorità conducono alla integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, definitivamente pronunciando sui ricorsi indicati in epigrafe, previa riunione degli stessi, così provvede:

Respinge il ricorso proposto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato;

Accoglie in parte, nei sensi di cui in parte motiva, i ricorsi in appello proposti da GEMEAZ CUSIN s.r.l., da SAGIFI s.p.a., da RISTOCHEF s.p.a., da QUI! TICKET SERVICE s p.a., da SODEXHO PASS s.r.l.; da DAY RISTOSERVICE s.r.l. e da RISTOMAT s.r.l., e il ricorso in appello incidentale proposto da LA CASCINA s.c.a.r.l. limitatamente alla censura inerente il fatturato su cui deve essere calcolata la sanzione;

Respinge, con diversa motivazione, i ricorsi indicati in epigrafe nella parte relativa alla diffida e, conseguentemente, dichiara improcedibile il controricorso proposto dalla CONSIP s.p.a.;

Dichiara in parte irricevibile il ricorso in appello incidentale proposto da LA CASCINA s.c.a.r.l.;

Respinge nel resto i suindicati ricorsi in appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.



Pagina di

Yüklə 225,77 Kb.

Dostları ilə paylaş:
1   2   3   4   5   6




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©www.genderi.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

    Ana səhifə