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Ladri di sogni e fabbriche di biciclette
Il cinema più di ogni altra arte appartiene al Novecento, forse anche
perché si è rivolto a tutti indistintamente. Più di ogni altra arte ha
coinvolto denaro, cultura, potere, popolo e censura. L’ultimo tango a
Parigi fu bruciato per volontà di un tribunale, nel 1974, forse perché
troppi avrebbero veduto quelle immagini, che invitando a esplorare la
sessualità provocavano adesione. In quel caso la ragione oggettiva
era stata la fantasia del regista Bernardo Bertolucci, colpevole di
non aver servito nessuna idea né morale né immoralista ma solo di
essersi compiaciuto di rivelare al pubblico un desiderio intimo, con
nessun altro scopo se non rivelarlo.
La filosofia, la musica, la poesia, la letteratura, l’arte, la fotografia
selezionano il proprio pubblico, un film va oltre. Perfino quando vuole
essere per pochi la sua natura lo rivela a tutti. Facendo uso di tutte
le altre arti simula e anima la realtà sovrapponendola a un sogno o
alla quotidianità, e così un critico sbeffeggiato dai neorealisti definiva
il cinema una fabbrica di sogni, mentre i neorealisti bersagliati dai
benpensanti ne facevano un mezzo di educazione di massa e di
formazione della coscienza di classe. In mezzo, alcuni geniali registi
e sceneggiatori usavano l’enorme potenziale economico, il grande
business, per dire alcune cose, le loro storie, belle proprio perché
non erano di tutti, non volevano educare né insegnare, non volevano
schierarsi, volevano dire e vivere a modo loro, come Bertolucci in quel
suo film bruciato, appunto.
Cercando le tracce lasciate sulla carta stampata ci si imbatte
immediatamente in una difficoltà: fino agli anni Venti è difficilissimo
trovare pubblicazioni dedicate a singoli film e testi teorici di rilievo.
Forse solo grazie alla partecipazione di D’Annunzio si trovano i
due opuscoli del 1914 dedicati a Cabiria di Pastrone, e quello assai
più raro della Crociata degli Innocenti di Traversa, del 1918, unica
testimonianza rimasta, con i suoi fotogrammi, della pellicola andata
perduta. Negli anni Venti cresce la produzione di opuscoli che raccontano i film e parlano dei divi. Un esempio è Avventure d’Amore di
Rodolfo Valentino (1927), firmato con lo pseudonimo di Licurgo Serradifalco da un autore ignoto, e il film di Luciano Doria
L’isola della felicità,
duramente colpito dalla censura. Negli anni Trenta vengono pubblicati vari libri teorici, in particolare quelli fondamentali di Luigi Chiarini e
Umberto Barbaro, dopo l’Antiteatro di Luciani (1928), estrema difesa del cinema muto, e Il film sonoro di Bragaglia (1929). Dal 1940 al 1945
la produzione si concentra prevalentemente sulle riviste specializzate come Cinema e Primi Piani, tanto che di un film fondamentale come
Ossessione di Visconti, si è trovata solo una traccia documentaria in un numero di
Primi Piani del 1943 dedicato a Clara Calamai, mentre il
testo della sceneggiatura completa sembra sia solo quello del 1977 per Cappelli. Film che fece scandalo, l’unico bruciato della prima metà del
Novecento, come Ultimo tango a Parigi nella seconda metà, e a decretarne il rogo fu la Repubblica di Salò.
La crociata degli Innocenti di Alberto Traversa (1914)
Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci (1972)
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E’ solo dopo il 1945 che comincia una produzione costante di libri sul
cinema, a cominciare dalle sceneggiature e dai testi a cui si ispiravano.
E’ il caso della seconda edizione di Ladri di biciclette di Bartolini, uscito
nel 1946 per Polin e andato invenduto, ripubblicato nel 1948 dopo il film,
che in fondo ne tradiva l’intimo contenuto. Fa la sua apparizione, forse
prima che in Francia, anche un nuovo punto di vista sulla produzione
filmografica: l’erotismo nel cinema, come lo presenta Guerrasio nel suo
Il cinema, la carne e il diavolo (1949), chiara allusione al classico di
Mario Praz La carne, la morte e il diavolo nella cultura romantica (1930),
con una ricca iconografia, che dal primo bacio cinematografico (1895)
attraverso gli atteggiamenti delle dive, arriva fino ad Anna Magnani, nel
suo antidivismo la più diva di tutte. Del 1950 è Cinema, fabbrica di sogni di
Arturo Lanocita, criticato da sinistra come apologia del cinema d’evasione
mentre infuriava la polemica sul neorealismo. A partire dagli anni
Cinquanta, sono le edizioni di Bianco e Nero a inaugurare il filone delle
pubblicazioni documentarie sui film, spesso accompagnate da apparati
iconografici. Nel 1951 esce il copione de La Terra Trema di Visconti,
bandiera del Neorealismo, introdotto da un testo teorico esplicativo, ma
fra i più belli è La strada di Fellini (1955). Nel 1953 era invece uscito per
Bocca lo struggente Umberto D. di Zavattini, anch’esso introdotto da un
fondamentale testo teorico a cura del suo autore. Nel 1955 inizia la collana
più importante e ben fatta del mondo e del secolo: “Dal Soggetto al Film”
di Cappelli. Ogni volume riproduceva il copione originale e fotogrammi
tratti dal film, aggiungendo però il racconto delle vicissitudini che avevano
portato alla sua produzione, le testimonianze dei protagonisti, eventuali
parti tagliate, vari aneddoti, curiosità, fonti. Tutti o quasi i grandi film dalla
seconda metà degli anni Cinquanta fino alla prima metà dei Settanta
sono stati pubblicati da Cappelli, uno per tutti La dolce vita di Fellini,
spartiacque fra due epoche, dopoguerra e boom economico.
Fra il 1960 e il 1965 abbondano pubblicazioni di film sulla Resistenza ma
ce n’è anche una sorprendente abbondanza sul tema del matrimonio, il divorzio e il cosiddetto delitto d’onore: Divorzio all’italiana di Germi
(1961); I fuorilegge del matrimonio di Orsini e dei fratelli Taviani (1963); La smania addosso di Andrei (1963); La bugiarda di Comencini (1965);
Giulietta degli spiriti di Fellini (1965), fra gli altri. Mai prima il cinema aveva fatto pesare tanto la sua popolarità ai fini della discussione su un
problema sociale: prendendo decisamente posizione contro la tradizione diede un decisivo contributo all’evoluzione civile del nostro paese.
Intanto Pasolini scandalizza, cominciando con Accattone (1961) fino alla cosiddetta Trilogia della vita, prima di Warhol e Morrissey (di cui fra
l’altro doppia l’edizione italiana di Trash, nei primi anni Settanta), sebbene in modo molto diverso. I diseredati diventano protagonisti. Sono
ladri, puttane, ragazzi di strada, sono gli ambienti della periferia romana e del degrado urbanistico industriale. Ma anche l’irruzione del sesso
non patinato, lo scandalo del corpo che si offre nella sua verità, giovane e vecchio, sporco e luminoso, in pose aggraziate, ridicole o lascive. E
poi Antonioni che si inventa un altro modo di fare film, con Blow up del 1966. La contestazione giovanile è alle porte. Arrivano i film sulla crisi
degli intellettuali e quelli che ripensano il Sessantotto. Del 1969 è il visionario Cuore di mamma di Samperi scritto da Dacia Maraini: ci sono
dei bambini che ammazzano il fratellino, una madre che giustizia il figlio e si consacra alla rivoluzione, un erotismo insoddisfatto, elementi che
rimandano a fatti e temi esasperati dell’attualità.
Matrimonio all’italiana di Vittorio De Sica (1964)