Copia del secolo XI in Verona, Biblioteca Capitolare



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Inq 1
(820-840?)

Nell’ambito di un placito che coinvolge il conte di Verona Vuarath e Alberich, si interrogano alcuni uomini per identificare i confini tra il comitato di Verona e quello di Monselice1.


Copia del secolo XI in Verona, Biblioteca Capitolare, Codice XCV (90), Passiones seu vitae Sanctorum, c. 144 [B].
Edizione: Fainelli, I, 156.
Nomina eorum hominum qui antiquitus fuerunt in unum collecti ad discernendum ubi vel in quibus locis a maioribus positȩ fuissent fines inter commitatum veronensium et montissilicanorum2 Unaldus, Natales vilicus3, Giselarius, Lupo vilicus, Gisebertus, Lupo decanus de Armentaria4, Vitallia, Odelbertus filius Mastaloni, Lupo filius Vivengio, Teodorus, Dagibert, Leogivertus, Maurus, Georgius, Lunadus, Lupo, Luipertus, Stabilis, Alibertus, Iohannes, Dominicus, Vuarnefredus, Lunaldus, Sigo, Dominicus, Agipertus nepos Mastaloni, Audemari decer, Georgius, Teupertus filius Ursonis de Leoniacus, Agibert, Martinus qui supernomen vocatus Barbalata, Vitallianus, Donatus. Isti suprascripti homines dixerunt unanimiter de fines Montesilices et Veronense de laco Cerviaco: bene scimus quod per nos quamquam et per antecessores nostri qui nobis insinuaverunt de fine silva quȩ pertinet de salto locus qui dicitur Geminiana et fine aqua quȩ dicitur Tortulo currente et fine tractura quomodo Tortulus cur[rente]. Istȩ sunt fines inter Montes Silices et veronense de laco Cernia. Iterum recordaverunt se de fines inter ver[onense] et Montes Silices per terram vel paludes et silvis fines Vuangadicia5 fine molino qui vocatur Sucuciario et f[ine] Argile6 ubi ab antico fuit ecclesia sancti Martini edifficata7 quȩ modo est posita in Armentaria fine veronensium et usque in fossa Alta et ipsa fossa exit de Torratio8 fine Perariolo usque ad casellas et usque in fossatum inter casellas et silvam quȩ vocatur Sanguinedo, et ipse fossatus factus fuit manibus hominum et usque in fin[es] inter vicentinos et Montesilices et veronensium9 ubi Vuarath10 comes et Alberich placitum habuerunt, [et ipsos] iam nominati homines unusquisque per caput super sancta Dei evangelia iuraverunt qualiter ipsi de ipsas fin[es] dixerunt quod sic sit veritas et ipsum sacramentum factum est super ipsas fines et per ipsas fines ambulaver[unt] sicut superius scriptum [est].

NOTE STORICHE



1 Tale interpretazione ha come presupposto un’ipotesi di datazione diversa da quella correntemente accettata (840-853). Gorado, infatti, è attivo tra l’827 e l’833, mentre almeno dall’840 c’è un nuovo conte, Walperto (Fainelli, I, 159). Il testimone più antico che possediamo di questa inquisitio risale all’XI secolo (si tratta di un foglio che fu poi inserito in un codice del XII); la mancanza di ulteriori sicuri appigli a personaggi o avvenimenti riconoscibili all’interno del testo rendono alquanto dubbia la sua collocazione cronologica. Ripudiata l’ipotesi della Zorzi (di datare il documento alla metà del X secolo: Zorzi 1929) si considera generalmente valida la data fornita dal Gloria (CDP, 9; “Non avendo argomenti in contrario, poniamo la data del documento nell’epoca assegnata dal Gloria”, recita laconicamente Fainelli, p. 220). A onor del vero, il Brunacci aveva allargato la forbice temporale, anticipandone il termine post quem all’806. Il Gloria, tuttavia, ritiene che sia sicuramente successivo al diploma dell’840 emanato da Lotario (CDP, 10) perché in esso non si menzionano i Padovani ma i Monseliciani, come in questa inquisitio. Nella sua dissertazione premessa al codice diplomatico, il Gloria mostra di accettare, infatti, il presupposto che il titolo di comitato da Padova fosse passato a Monselice perché le devastazioni barbariche avevano distrutto la città patavina e costretto la popolazione a ritirarsi sull’altura. Si consideri, tuttavia, che l’interpretazione tradizionale della distruzione di Padova (che è stata tra l’altro messa in discussione dalla storiografia recente; vedi La Rocca 2009) fa risalire tale distruzione al tempo dei Longobardi, per cui il fatto che fossero menzionati solo i Monseliciani non necessariamente dovrebbe datare il documento posteriormente al diploma di Lotario. Del resto Settia 1994 ha dimostrato che molto probabilmente Padova non era nemmeno compresa nel comitato di Monselice, né è coinvolta in questa inquisitio. Castagnetti 1990a, pp. 191-192, per parte sua, ritiene che il documento sia da datare dopo l’840 perché vi si fa menzione di un placito che sarebbe avvenuto in un momento precedente e che avrebbe avuto come oggetto la definizione dei confini tra Vicenza, Verona e Monselice (quello appunto tra Gorado e Alberich). La mia ipotesi, invece, è che, in un tempo molto successivo a quello in cui ebbe luogo l’inchiesta (un periodo ovviamente non superiore – forse coincidente? – all’XI secolo) sia stata copiata, da un’inquisitio contenuta, come era prassi, all’interno degli atti di un placito, la parte ritenuta allora più interessante, ovvero i confini che al tempo in cui il placito ebbe luogo separavano Monselice da Verona. Vediamo dunque il testo. In apertura si elencano i nomi degli uomini che furono riuniti antiquitus per definire i confini tra i due comitati. C’è dunque una sfasatura tra il tempo del racconto e il tempo della storia. Il documento, dopo aver elencato i nomi dei testimoni, riporta in discorso diretto le loro dichiarazioni, che infatti sono al presente (tempo della storia). Poi il discorso diretto finisce e gli uomini in questione proseguono la loro testimonianza (“iterum iuraverunt”) e descrivono ancora i confini con discorso indiretto. I verbi sono ovviamente al passato, mentre due avvenimenti sono collocati in un passato che è anteriore anche al tempo della storia: l’erezione della chiesa di Armentaria (“ab antico fuit…edifficata”) e lo svolgimento del placito. Ma, mentre la costruzione della chiesa è ulteriormente proiettata indietro nel tempo da quel ab antiquo, lo stesso non avviene per il placito. Dunque, è vero che probabilmente il placito avvenne prima dell’inchiesta, ma l’uso del tempo verbale in sé non permette di asserire che esso ebbe luogo in un tempo assai lontano, perché la prospettiva è storpiata dal fatto che il tempo della storia è già molto più risalente rispetto a quello del racconto, come ho detto. Dunque, perché Gorado doveva per forza essere già morto? Mi pare invece verosimile che l’inquisitio sia da collocare cronologicamente non molto distante da questo placito: la datazione che qui propongo ha come termine post quem l’ultima attestazione del conte Hucpald (Manaresi, 31) e come termine ante quem la prima attestazione del conte Walperto (Fainelli, I, 59). Ma ora, perché l’inquisitio dovrebbe essere parte del placito stesso? Il testo parla dei confini tra Vicenza, Verona e Monselice “ubi …placitum habuerunt”. Non dice “per definire i quali”, “a causa dei quali” o “che furono stabiliti dal”. Si esprime, piuttosto, un locativo, così come la menzione della chiesa di Armentaria: nel luogo dove fu eretta la chiesa da una parte; nel luogo dove si tenne il placito, dall’altra. I confini di Vicenza, Verona e Monselice non costituiscono il motivo del placito, come dice Castagnetti, ma il punto in cui avvenne. Questo espediente per localizzare un punto d’interesse risulta alquanto singolare: si usa, cioè, per così dire, la data topica di un placito per identificare un luogo. Si può forse, dunque, pensare che tale placito avesse avuto luogo e che in esso Gorado, in qualità di conte veronese, si scontrò con Alberich – conte monseliciano?- sulla definizione dei confini tra Verona e Monselice. Il placito avvenne in un punto di incontro tra i due comitati in questione e Vicenza. È possibile ipotizzare che durante il processo come spesso avveniva, il collegio giudicante avesse deciso di procedere con una inquisitio sul luogo. La seduta fu sospesa, come di prassi, e ci si accordò per una successiva seduta. L’inquisitio avvenne, gli uomini del posto testimoniarono – e chissà a chi diedero ragione – e uno dei termini di confronto territoriale fu identificato in un luogo che il collegio giudicante aveva ben presente, quello della prima seduta del processo. Molto successivamente, come ho spiegato, del processo fu salvata solo l’inquisitio e come unica traccia del conflitto è rimasto quel curioso locativo, “ubi Vuarath comes et Alberich placitum habuerunt”, che probabilmente è stato copiato per errore o perché costituiva l’unico punto di riferimento fornito.

2 Monselice era comitato per questo periodo; secondo la documentazione, il titolo passò poi a Padova a partire almeno dal 969/970 (Castagnetti 1990a, p. 193).

3 Il “vilicus” per quest’epoca, secondo Mor (Mor 1964, p. 73), non era semplicemente un contadino, ma colui che dirigeva un casale.

4 Capo del villaggio (Mor 1964, pp. 73-74).

5 Vangadiza (VR).

6 Zorzi lo identifica con Arzere, frazione di Bosco Chiesanuova (Zorzi 1929, p. 23).

7 Sulla chiesa di San Martino in Armentaria vedi Castagnetti 1976, p. 25.

8 Zorzi (Zorzi 1929) propone di leggerlo come Teracio, sulla base di una copia del Brunacci, e di identificarlo quindi con Terrazzo (VR).

9 Secondo questa delimitazione territoriale, al territorio di Monselice sono attribuite località comprese nell’antico municipio di Este (eccetto Bovolenta, Agna e Cona) (Settia 1994, pp. 88-93).

10 Su questo passo, si veda sopra. Il conte Gorado fu coinvolto in una lunga vicenda che lo vede opposto al monastero di Nonantola prima e a quello di San Zeno poi per la selva di Ostiglia (Fainelli, I, 128; Manaresi, 41; Hlawitschka 1960, p. 282-283). Secondo Castagnetti, questo conte sarebbe identificabile con il fratello del conte Ercengario (Castagnetti 1990b, p. 16).

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